domenica 14 ottobre 2012

LE ASSURDITÁ DEL CANTO DA MESSA ACCOGLIENZA ‘80

di Diego Vanni

«Ma come si fa?!». La prima domanda, che sorge spontanea, di fronte a testi come quello che sta a lato di questo articolo, è proprio questa: «Ma come si fa a concepire testi così assurdi?!». La seconda; «Ma come fanno i preti ad accettare che simili sproloqui dissennati vengano usati come materiale liturgico, come canti da Messa?!». Inizio con questo canto questa mia nuova rubrica che, oltre a farmi piangere (perché è la Messa – quindi una cosa seria, la più seria – ad essere rovinata), tutto sommato mi farà anche ridere, perché di ridicolo ce n’è, eccome! Prima di scendere nel merito dell’analisi di questo canto, tuttavia, mi è necessario fare una premessa, che varrà tanto per quanto sto scrivendo adesso, tanto per quanto scriverò nei prossimi mesi. La seguente; non ce l’ho con chi canta questo genere di canti; tutt’altro! Spero anzi che questa rubrica possa far aprire gli occhi a queste persone e che queste possano decisamente cambiare repertorio. Il tutto, beninteso, non perché io sia un teologo o un liturgista, perché per confutare l’assurdità di questa roba non ci vuole certo di essere un teologo o un liturgista, ma una persona cattolica di buon senso. Spero davvero che chi canta questo genere di canti possa, leggendo queste righe, rendersi conto del nulla che canta e cambiare. Ogni persona intelligente si rimette in discussione, ogni tanto! O, laddove questo non avvenisse, spero almeno che serva ad aprire gli occhi ai preti: cari sacerdoti, la Messa è una vostra responsabilità – non certo mia che non sono nessuno – occhio! Al Padreterno dovrete rendere conto di tutte le boiate che, se non avete  voluto, quantomeno, avete permesso, durante la rinnovazione del Sacrificio del Calvario, durante l’augustissima liturgia eucaristica. Non permettete che durante la celebrazione della Messa, nella liturgia che deve cantare Colui dal quale ha origine il tutto si canti il nulla! Fatelo per voi stessi, pensando a quando ne dovrete rendere conto a Dio, fatelo per i vostri fedeli, per la loro edificazione. E se deciderete di continuare su questa linea – ma con chi volete il pugno duro lo fate eccome – non meravigliatevi se poi la gente va alla Messa di Pio V (o tridentina)! Ciò doverosamente premesso, scendiamo nel merito dell’analisi di questo canto.

«Sto cercando una storia che sia vera, per donare un vero senso alla mia vita. Sto cercando nuovi spazi per seminare i miei passi in libertà. Non cercare lontano da te stesso e sperare di trovare un uomo vero, apri gli occhi, ho posto in te la verità: io ti guiderò»

«Una storia che sia vera, per donare un vero senso alla mia vita». Ok! Dunque anche una semplice amicizia, un matrimonio! Storie «vere», indubbiamente! Ma Dio?! Da notare che non se ne fa mai menzione del suo nome, almeno esplicitamente, in tutto il canto Eppure sarebbe, è, un canto da Messa! «Nuovi spazi, per seminare i miei passi in libertà». E’ una preghiera per domandare a Dio un giardino?! Sarebbe – ed è tutto dire – la più logica delle interpretazione, ma, verosimilmente, è semplicemente retorica del nulla. «Non cercare lontano da te stesso e sperare di trovare un uomo vero, apri gli occhi, ho posto in te la verità: io ti guiderò». Qui, se non ci siamo già, si rasenta, comunque, l’eresia! «Non cercare lontano da te stesso»! E il «Se qualcuno vuol venire dietro a Me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Lc 9, 23) che fine ha fatto?! E l’invito di San Paolo a «deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici»?! No… Qui si dice: «Non cercare lontano da te stesso»! Il prosieguo, poi, dovrebbe sempre, a rigor di logica, essere legato all’avverbio di negazione; dunque; «non sperare di trovare un uomo vero». Francamente, un passo di difficile interpretazione, ma, ad ogni modo, l’uomo vero c’è, eccome! E’ il Dio-Uomo, il Dio fatto uomo, Gesù Cristo, prototipo di ogni uomo vero, ma… figuriamoci se questo canto lo nomina! Infine: «Ho posto in te la verità», che si presume essere rivolto sempre a chi ascolta il canto, come quel «non cercare lontano da te stesso». Dunque, la verità va cercata in sé stessi, dentro sé stessi. Quel Gesù che ha detto: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6) probabilmente era uno dei tanti semplici uomini che ha cercato in sé la verità, facendo suo l’invito del canto. Va da sé che chiunque può fare altrettanto e dunque Gesù Cristo sarebbe ben lungi dall’essere la – articolo determinativo – verità!

«Sono mille e mille voci che si uniscono al tuo canto; oltre il tempo questa festa ci unirà, noi cerchiamo il tuo volto di padre e di fratello questa vita che ci hai dato è una festa accanto a te oltre il tempo questa festa ci unirà. Sono mille e mille voci che si uniscono al tuo canto; oltre il tempo questa festa ci unirà, noi cerchiamo il tuo volto di padre e di fratello se tu guidi questi passi che facciamo in nome tuo oltre il tempo questa festa ci unirà»

«Sono mille e mille voci che si uniscono al tuo canto». Dovrebbe avere un senso?! Voci di chi che si uniscono al canto di chi per chi? Tralasciamo! «Noi cerchiamo il tuo volto di padre e di fratello»! Sì… e magari anche di suocera e nuora al contempo! Il ridicolo totale! La logica spicciola ci insegna che non si può essere padri e fratelli al contempo: o si è padri o si è fratelli di una persona. Ma… tant’è! Tanto peggio per la logica e tutto il suo sistema! Peraltro, se fossimo fratelli di Dio, saremmo Dio a nostra volta e vai col patatrac logico e teologico. Infine; «oltre il tempo questa festa ci unirà». Quale «festa»?! Ah già… la Messa! La Messa è una festa – dimenticavo. Sottile teologia eucaristica, questa!

Sempre uguali dipanano i miei giorni, sempre nuovo io mi scopro ogni domani; tengo viva la speranza che il mio dono un giorno fiorirà. Conserva pure le tue mani perché puro possa essere il tuo dono; la freschezza del tuo cuore è la forza della mia presenza in te.

«Sempre uguali dipanano i miei giorni», ma «sempre nuovo io mi scopro ogni domani». Buon per lui! Come farà?! Da notare, poi, che la forza della presenza di Dio – desumo – in noi è «la freschezza del tuo (nostro) cuore». L’ultima chicca teologico-dottrinale di questo canto!

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 21 di ottobre 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

AMICI REATINI, CI RIUSCIREMO (AD AVERE LA MESSA TRIDENTINA)!

di Giuliana Calastri

Sono nata, cresciuta e vissuta a Rieti; una vita obiettivamente irreprensibile e “normale”, una fede quieta e senza dubbi. Dubbi? No, forse ne ho sempre avuti, Ma sopiti da una mancanza di scelte. E’ infatti seguito il mio allontanamento dalla Chiesa, causato dalla non soddisfazione nei confronti di un rito che mi annoiava ed innervosiva più che stimolarmi; le sottili, e neanche tanto, sgomitate delle pie donne per acquisire un ruolo: la lettura più lunga, la raccolta delle offerte, ecc.. hanno cominciato a provocarmi un senso di disagio, di non appartenenza, da qui la nascita di una infinità di dubbi, non certo sciolti ma anzi avvalorati dallo squallore delle omelie e del modo di gestire la Santa Messa da parte dei vari parroci. Poi… non oso dire Chi e come lo abbia voluto, c’è stato il mio avvicinamento alla Messa Tradizionale, quella Tridentina. Sapete quando un raggio di sole squarcia le nubi?! Sapete quando vi trovate in un tunnel ed in fondo scorgete finalmente la luce?! Ebbene, ho avuto occasione di assistere alla celebrazione di più di una Messa Vetus Ordo ed ho sentito la profondità, la presenza di Cristo intorno e dentro di me, la serietà di un rito che serietà chiede ed obbliga. Del tutto innocentemente o ignorantemente ho chiesto, tramite il mio parroco, che questa Messa venisse celebrata anche a Rieti – scomodo andare ogni Domenica a Roma – ma indagando anche tra coloro che si dichiaravano favorevoli, ho scoperto che: QUESTA MESSA NON S’HA DA FARE! Ma perché?! – mi sono chiesta. Cosa c’ è di male?! Non è mica in contrasto con la Messa Riformata, ognuno scelga quella che preferisce. Dopo una indagine, neanche troppo breve, ho scoperto le principali obiezioni sollevate contro il Motu Proprio Summorum Apostolum che “ripermette” la celebrazione della Messa tradizionale. La maggior parte delle obiezioni sono sollevate dal clero a da chi gli ruota intorno (leggi: pie donne), ed il rifiuto, ben poco razionale e molto emotivo, è di chi è cresciuto con il mito che solo grazie al Concilio la Chiesa ha trovato coscienza di sé stessa (questa incredibile affermazione è addirittura di Paolo VI), i cattolici sono diventati adulti uscendo da uno stato intellettivo di minorità e la Chiesa ha ritrovato la presenza delle origini. Ebbene, ascoltando, ho capito che è enormemente faticoso riuscire a superare questi pregiudizi intrisi, a ben vedere, di grande superbia nei confronti delle generazioni di credenti che ci hanno preceduto. Ho cercato allora di scoprire le principali obiezioni contro la Messa tradizionale, cercando per quanto possibile alla mia limitatezza, di smantellarle; lascio a voi giudicare.

- Si torna indietro e si nega il CVII che ha voluto la riforma liturgica

Ma come, il latino e il canto gregoriano sono stati tanto raccomandati dal Concilio, che per di più non ha mai chiesto che il prete si girasse verso il popolo! Ok, anche nella nuova Messa ci possono essere il latino e il canto gregoriano, ma quante ne avete mai viste di messe così a parte quelle in TV del Papa?! Non dimentichiamo che i Padri del Concilio celebravano ogni giorno con la Messa tradizionale, e quindi siamo molto più “conciliari” noi che chiediamo una Messa tridentina che questi progressisti che la vedono come il fumo negli occhi e spacciano per un prodotto del Concilio quello che ben pochi dei Padri Conciliari avrebbero non solo voluto ma neanche lontanamente immaginato. E poi che cosa c’è di più conforme al Concilio, che ha promosso il ruolo dei laici, il pluralismo, la tolleranza, che un gruppo di persone che si danno da fare per aggiungere, tra le molte celebrazioni esistenti, la voce ulteriore di una Messa in latino per chi la vuole?

- Gesù non ha mai celebrato in latino.

No, ma si rivolgeva al Padre nella sinagoga pregandoLo in ebraico, una lingua che ai suoi tempi era in disuso.

- Il latino lo capiscono in pochi, i fedeli non capiscono niente della Messa.

Se quasi tutte le religioni del mondo usano una lingua morta forse un motivo c’ è (i musulmani l’arabo classico, gli ebrei l’ebraico – lingua morta fino a 60 anni fa ed ora resuscitata – gli indù il sanscrito, i greco-ortodossi il greco antico e si potrebbe continuare). L’uso di una lingua sacra risponde all’esigenza precisa dell’animo umano: nel rapporto col divino, abbiamo bisogno di entrare in un’atmosfera diversa dalle nostre occupazioni quotidiane. E’ per questo che esistono i templi, le chiese, i recinti sacri che sono diversi dalle case e dagli uffici dove si svolge la nostra vita quotidiana. E’ anche per questo che i nostri cuori sono rivolti al Signore e ci rivolgiamo a Lui con parole che non sono di tutti i giorni e quindi esposte al rischio fortissimo di banalizzazione. Con il Rito in latino ci sentiamo poi uniti con le generazioni innumerevoli dei nostri antenati che in Chiesa hanno sentito e ripetuto quelle medesime parole. Il latino non si capisce?! Forse è anche meglio: a volte la comprensione solo verbale è ingannevole e superficiale, mentre i gesti, il suono, l’atmosfera agiscono molto più profondamente in noi. Non solo: la consapevolezza di aver inteso poco, ci sprona ad accrescere la nostra conoscenza del Mistero. A giudicare dalla diffusa miscredenza (tra i praticanti) nella Presenza reale del Cristo nell’Eucarestia, viene naturale pensare che per l’istruzione religiosa valesse molto di più inginocchiarsi per ricevere la Comunione (come un tempo) che sentire tutti gli “ spiegoni” e i moniti delle Messe attuali. Voglio citare una frase trovata su Facebook: «Se il mondo si regge è per la preghiera di tanta gente anziana e ignorante che in chiesa, con devozione, ripete parole in latino di cui neanche sa il significato e che per queste vengono derise da quelli del mondo». E, d’altra parte, accendete la radio e troverete che i due terzi delle canzoni sono in inglese. Ma quanti in Italia conoscono l’inglese! Evidentemente per apprezzare una bella canzone non è necessario capire il testo (anzi… pensate che orrore se cantassero in italiano!).

- La messa in latino è possibile anche con il nuovo Messale a che serve allora riesumare quello vecchio?

Di Messe di Paolo VI in latino se ne celebrano pochissime (fuori Roma è come cercare un lago nel Sahara), eppure appena ci siamo dati da fare per ottenere una Messa Gregoriana qualche ecclesiastico ci ha offerto una Messa in latino con il nuovo Messale. Ho declinato con cortesia e garbo, ma con molta fermezza, spiegando che per noi non è solo questione di lingua, ma anche, ad esempio, di celebrazione rivolta a Dio (ho tradotto “spalle al popolo” per paura che fingesse di non capire) in cui il prete sta discretamente al suo posto e non è più il protagonista. Il sacerdote rivolto verso il popolo dà l’idea dell’autosufficienza dell’assemblea (cerchio chiuso). Il sacerdote rivolto verso Dio esprime l’andare del popolo verso Gesù avendo per guida il pastore che celebra “in persona Christi”, un popolo che si sente piccolo piccolo e bisognoso di Gesù.

-Gesù nell'ultima cena non dava le spalle agli Apostoli

Potremmo dire che essendo egli stesso Dio non aveva bisogno di rivolgersi a Dio. Ma, a parte ciò, nel banchetto antico tutti i convitati erano seduti dallo stesso lato, non gli uni di fronte agli altri.

- Ammettere la Messa produrrebbe divisioni e contrasti nelle parrocchie.

I fedeli laici, è dimostrato, rispetto alla Messa antica, assumono una di queste due posizioni: o sono interessati (se non altro per curiosità e per cambiare un po’), oppure se ne infischiano del tutto, magari trovano insensato che qualcuno possa avere interesse per un Rito così arcaico, ma una volta capito che il Motu proprio non li riguarda perché non abolisce la Messa in italiano, ma consente una Messa in latino a chi la vuole… «Contenti voi, fatela!»! Problemi possono solo sorgere per colpa di un parroco malevolo che, frustrando le legittime aspettative di fedeli legati alla Tradizione, crei risentimento e li costringa a posizioni di contrasto che, con l’accoglienza giusta e benevola (voluta dal Papa), si evitano alla radice.

- La vecchia Messa è per pochi nostalgici, allontana i giovani e fa diminuire le vocazioni.

Questa obiezione è rara e fatta solo dalle persone veramente ignare dello stato della situazione. Infatti la messa tradizionale è richiesta e ricercata da un numero rilevante di giovani, o relativamente tali; più della metà di quelli che la desiderano hanno meno di 50 anni. E quanto alle vocazioni è assodato esattamente il contrario. I seminari diocesani sono vuoti, mentre quello legati al Rito tridentino non ce la fanno più ad accogliere i giovani.

- La Messa antica nuoce all'unità della Chiesa.

Tutto il contrario: nell’epoca della globalizzazione, poter trovare in ogni parte del mondo una Messa in latino è un magnifico collante dell’unità della Chiesa e consente a tutti di sentirsi a casa. Non so se queste mie parole possano aver almeno instillato il dubbio, ma, ringraziando il Circolo Ragionar Cattolico, spero che anche a Rieti, tra voi miei concittadini che mi conoscete da tanto tempo, si possa creare un gruppo, anche piccolo, ma pronto a battersi per avere, come è suo diritto, una Messa tradizionale; io ci sono, in qualunque momento. Anche noi ci riusciremo!

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 21 di ottobre 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)



SOLIDEO PAOLINI, A GUASTICCE, PRESENTA IL SUO ULTIMO LIBRO SUL TERZO SEGRETO

di Diego Vanni

Una Conferenza davvero molto interessante, molto arricchente, quella nella quale il noto fatimologo, dottor Solideo Paolini, ha presentato il suo ultimo libro che fa il punto della situazione sulla rivelazione del Terzo Segreto di Fatima. Chi conosce un minimo la questione, chi ha letto un minimo la letteratura fatimita, sa che il testo rivelato nel 2000 non è completo; esiste una parte inedita, che il Vaticano ha deciso di non rendere nota. Perché?! Cosa contiene?! Cosa c’è di così terribile in questa parte inedita?! Perché mantenerla tale, anche a costo di evidenti forzature?! I cattolici benpensanti, gli allineatisti ad ogni costo, la borghesia cattolica del «con 4 (facciamo 2, ndr) pratichette sono a posto», non ha ovviamente bisogno di sapere cosa ha detto la Madonna a Fatima; questi possono tranquillamente fare a meno di sapere ciò che l’Augustissima Madre di Cristo ha detto, in aiuto alla salvezza delle nostre anime. Ma c’è anche chi – povero sempliciotto, si fa per dire, ovviamente («Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli». (Mt 11,25) – non può prescindere, non vuol prescindere dalla Madre di Cristo, non vuol rifiutare la sua mano allungata in nostro aiuto. Questi, intervenuti alla Conferenza, hanno posto, peraltro, domande molto interessanti. Ma qual è il senso di una simile iniziativa?! Che senso ha parlare di questa questione?! «La frittata è fatta?!» E’ un processo alle intenzioni?! Cosa si può fare? Cerchiamo di rispondere a tutte queste domande. Qual è il senso di una simile iniziativa?! Che senso ha parlare di questa questione?! Posta la tesi di fondo, per cui, non tutto il Terzo Segreto di Fatima è stato rivelato, questa iniziativa ha senso nella misura in cui vuol rendere noto il fatto, senza, come vedremo dopo, fare processi alle intenzioni, ma per far sì che la gente prenda consapevolezza della cosa, condizione preliminare per poi agire (vedremo dopo in che modo). Ha senso nella misura in cui parte dal presupposto per il quale l’aiuto che ci viene dal Cielo non è un optional, un qualcosa del quale si può fare a meno! La Madonna non perde tempo in cose opzionali, superflue! Ciò detto, qualcuno potrebbe chiedersi:

«La frittata è fatta?!»

E, magari, autorispondendosi di sì, asserire che proseguire su questa strada non ha molto senso. E’ stata una delle cose su cui si è discusso. Non ha senso se, come è stato rilevato, «tutto nasce e muore nella curiosità»! Ben venga che l’interesse a questi temi nasca, scaturisca dalla curiosità – perché, come è stato rilevato, «il Signore non disdegna di servirsi di strumenti umani» – ma nella curiosità non deve morire. Presa consapevolezza del problema, occorre darsi da fare, vedremo dopo in che modo. E comunque, «la frittata non è fatta», o… non completamente. Rivelando la parte inedita del Segreto è infatti sempre possibile far sì che abbia luogo un danno minore, un castigo di entità inferiore.

E' un processo alle intenzioni (del Vaticano)?!

 No! Non è un processo alle intenzioni, non è un voler giudicare quei (anche alti) prelati che hanno optato per mantenere inedita una parte del Segreto. A quelle intenzioni penserà il Padreterno, che giudicherà loro, come giudicherà me e tutti voi. Può darsi benissimo che chi si è trovato la “patata bollente” fra le mani abbia deciso per la secretazione per paura di un danno alla Chiesa, magari derivante da interpretazioni eterodosse di quella parte inedita (anche se – come rileva Antonio Socci – ritenersi più prudenti di Colei che è giustamente definita la Virgo prudentissima…)! Ad ogni modo, non spetta a noi giudicare (le persone, i fatti sì). Ampia è la letteratura su questo tema; chi vuole può senz’altro documentarsi ampiamente leggendo, per esempio, Il quarto segreto di Fatima di Antonio Socci, oppure Il Segreto ancora nascosto di Christopher Ferrara o altro ancora.

Cosa si può fare?

Pregare, per la rivelazione totale del Segreto, perché il Cielo dia al Papa questo coraggio! Inviare al Santo Padre una Supplica canonica – se ne richieda, se si vuole, il modulo al nostro Circolo – che è una supplica, appunto, e dunque uno strumento umile e che riconosce l’autorità, non una costrizione arrogante. E, infine, organizzare Conferenze su questo tema o sostenere chi già le organizza.

Il modulo della Supplica canonica da inviare al Santo Padre è inviabile, via mail, formato word e pdf, se richiesto, scrivendo a: info@ragionarcattolico.it

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 21 di ottobre 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)



DUE ANNI E SEMBRA IERI…

di Francesco Bernardini

Sono ormai passati due anni dalla fondazione del nostro Circolo. E’ con un poco di emozione che mi appresto a fare il punto della situazione ripensando agli episodi, tanti e non sempre piacevoli, che in questi due anni ci sono accaduti, ma soprattutto emozionato dalla Grazia evidente che il Signore ci ha voluto concedere per intercessione della Beata Vergine Maria. Siamo tanto inefficienti e tanto testardi che senza questa Grazia il nostro Circolo sarebbe ora morto e sepolto ed invece gode di ottima salute. Non è elegante citare sé stessi, ma occorre ridirci anche oggi quello che mi ero detto e vi avevo detto 2 anni fa nel primo numero di questo giornalino: «Non ci aspettiamo, beninteso, che questa iniziativa riscuota il consenso di tutti, ma non importa. Ciò che importa è testimoniare la Verità, con dolcezza e carità, ma testimoniarla senza sconti e compromessi». A questa linea editoriale e di “politica ecclesiale” ci siamo sempre attenuti. Quando ci siamo trovati a dover fronteggiare l’abbandono di tanti amici per il fatto che non solo non riscuotevamo il consenso ma riscuotevamo ostilità, ci siamo posti la classica domanda: «Che facciamo?». Ci siamo dati alcune risposte. Se riscuotiamo ostilità – mai aperta ostilità perché siamo sempre aperti al dialogo con tutti; casomai è qualcun altro che non vuole dialogare, ovviamente i professori del “dialogo” – se l’ostilità esiste, ebbene vuol dire che non siamo indifferenti. Il solo fatto che esistiamo suscita reazioni scomposte, anche da parte della Gerarchia, ma mai emotivamente. E quindi vuol dire che dobbiamo andare avanti, sempre sulla stessa strada, e sempre raccomandando il nostro cammino alla Vergine Maria. Se un giorno qualcuno, Gerarchia in primis, si degnerà di dirci (motivatamente) dove, in che cosa, sbagliamo, allora ben venga la rimessa in discussione. Abbiamo dovuto cambiare gli obiettivi, col tempo; abbiamo dovuto interrompere le nostre Conferenze che erano state il principale fine della nostra esistenza per l’ostilità preconcetta e mai dichiarata apertamente di quasi tutto il clero diocesano. Ostilità dimostrata molto spesso anche in modo volgare e con la più completa mancanza di Carità e Carità Pastorale. Le vicende sono note e ben documentate. Da questa vicenda sono nate le Giornate contro i mercenari che hanno avuto successo e che sono state seguite anche dalla stampa locale, non senza qualche strumentalizzazione (dal taglio dell’articolo sembrava si trattasse di una provinciale lite fra noi ed il Parroco di Guasticce, quando invece sollevavamo questioni di ben più ampia portata!). Vista l’ostilità preconcetta e chiusa ad ogni dialogo da parte della gente che più ci sta vicina, guarda caso è la gente che fino a ieri ha predicato il dialogo e i valori umani e che oggi si rifiuta di dialogare e di prendere in considerazione posizioni diverse; cista l’esigenza di continuare a vivere nonostante le evidenti difficoltà, abbiamo cominciato a rivolgersi ad amici fisicamente lontani, abbiamo chiesto ad amici, trovati per strada e per Grazia, di darci una mano a portare avanti iniziative; ci siamo dedicati a dare una mano a chi voleva condividere con noi un percorso che ci sembrava utile. Oggi abbiamo amici che collaborano con noi in varie parti d’Italia e la collaborazione non si limita alla redazione di articoli, ma alla partecipazione attiva ad eventi ecclesiali. Vorrei concludere questo articolo con delle frasi prese da un libro della amica Maria Guarini, che meglio di me esprime il compito che ci siamo assunti ed il programma per il futuro del Circolo Ragionar Cattolico. Scrive l’amica Maria: «I tradizionalisti di tutto il mondo cattolico, a qualunque taglio culturale, associazione o congregazione appartengano e qualsiasi sia lo specifico carisma d’elezione, accantonate le divergenze e le polemiche che li nullificano, dovrebbero gradualmente dar vita, con un intenso impegno spirituale e culturale anche di interiore metanoia, a un largo dibattito tra tutte le forze in modo da giungere, con libri, articoli, interviste, dibattiti, tavole rotonde, lezioni, dottorati e ogni altro più idoneo strumento intellettuale, a creare un clima di riflessione di fondo e da questo a far emergere, nel comune sentire cattolico che lo connoterà, una larga rete tradizionalista». (Maria Guarini La Chiesa e la sua continuità – Ermeneutica e istanza dogmatica dopo il Vaticano II) Per questo esaltante cammino che ci impegniamo a percorrere chiediamo la collaborazione di tutti coloro che condividono questo programma, ognuno con le sue specificità, con le sue doti, con ciò che il Signore gli ha dato. La collaborazione con noi, beninteso, non porterà consensi, non porterà applausi, non porterà voti per essere eletti da nessuna parte, ma, ne sono certo, ne vale la pena. Infine, faccio appello ad ogni uomo o donna di buona volontà affinché ci dia una mano nelle Raccolte alimentari che facciamo ogni mese; una cosa concreta a cui tutti siamo chiamati.

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 21 di ottobre 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)


LA CARITÁ, QUESTA SCONOSCIUTA…

di Giuliana Calastri

Una mattina qualunque, in un supermercato qualunque, incontro degli amici. Dopo aver fatto la spesa, ci avviamo, ciascuno con il proprio carrello, verso le rispettive auto che erano, volle il caso, proprio vicine; metto le buste cariche e pesanti in macchina ed, immancabilmente, mi si avvicina un ragazzo di colore, alto, robusto, in gamba. Un po’ adirata perché si era fatto vivo solo quando io avevo già faticosamente trasbordato la spesa, mi rifiuto di dargli il carrello per riportarlo a posto e prendersi l’euro. Il mio amico, che mi era al fianco, pur trovandosi nelle mie identiche condizioni, gli consegna il suo carrello e al mio sguardo sorpreso risponde «Lo faccio sempre, è questione di carità cristiana». Sono rimasta interdetta e mentre tornavo verso casa riflettevo tra me se non avevo ben chiaro il concetto di elemosina e lo confondevo con quello di carità. Non avendo con chi parlarne, ho mandato un messaggio e mail ad alcuni miei contatti con questa domanda: il concetto di carità è uguale per credenti e per non credenti? Riporto qui di seguito le loro risposte, ovviamente anonime per la privacy.

- «Carità è fare del bene al prossimo, soprattutto se quest’ ultimo è più povero di noi sia materialmente, sia socialmente che spiritualmente. La carità è una buonissima cosa non solo per i cattolici, ma anche per gli atei e gli agnostici. Però forse hanno significati diversi: per il cristiano semplicemente perché siamo tutti figli di Dio, per un ateo semplicemente perché pensa che non sia giusto non aiutare gli altri».

- «Per me c’è una grandissima differenza: io faccio la carità perché vedo Cristo nel sofferente, non credo che gli atei lo facciano per lo stesso motivo. Anche se il gesto alla fine è lo stesso, cambia il movente».

- «No, no, non c’è differenza tra atei e credenti. La carità è Amore e chi ama, indipendentemente dal suo pensiero, aiuta, dà, si mette a disposizione di chi ha bisogno, si dona agli altri».

- «Da ateo, quando aiuto qualcuno, compiendo un atto di carità, lo faccio come atto puro di bontà in sé. Ho la convinzione che dopo questa vita non c’è nulla e quindi cerco di rendere questa vita migliore possibile per me e per gli altri uomini, ben sapendo che non me ne verrà nulla in cambio. Un credente non compie mai un atto di carità come atto di bontà in sé, ma poiché nel prossimo bisognoso vede Cristo, compie un atto di bontà verso Cristo allo scopo di ingraziarselo e guadagnarsi la vita eterna. In sostanza quando gli atei aiutano lo fanno senza chiedere nulla in cambio, i credenti lo fanno per guadagnarsi la vita eterna».

Ora ho le idee ancora più confuse; lascio perdere sia il concetto di elemosina che quello di filantropia, voglio fermarmi alle parole del mio amico «Carità cristiana»; ma io so, o almeno credo di sapere che la Carità è la virtù per la quale amiamo Dio al di sopra di tutto e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio. Gesù fa di Essa il vincolo di tutte le altre virtù, che anima, ispira ed ordina. Quindi il termine Carità esprime meglio di ogni altro l’amore cristiano, ma spesso nel linguaggio comune è privato della sua specificità teologica perché con esso si identifica il semplice atto dell’elemosina: eppure la Carità cristiana trae la sua origine dall’amore di Dio che attraverso Cristo e lo Spirito Santo ci è stato dato perché il cristiano possa riamare Dio e il prossimo. La Carità non è solo la virtù teologale, ma è «la forma delle virtù» perché essa vivifica tutte le altre, dona loro un significato e un valore: è il segno di riconoscimento del cristiano. Nel Vangelo di Giovanni (13, 25) si legge infatti «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete Amore (Carità) gli uni per gli altri».Ed allora riflettiamo: facciamo pure l’elemosina come, quando e a chi vogliamo, ma non quantifichiamo economicamente la Carità cristiana!!

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 20 di settembre 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

UN INTERESSANTE CONVEGNO, IL MESE PROSSIMO, A RIETI

di Gianni Battisti 

Il convegno di Rieti del 19 ottobre 2012 dal titolo: La forza della Verita'- P.Tomas Tyn, un aiuto nell'anno della Fede, rappresenta un occasione davvero ghiotta, anche per gli amici livornesi che volessero intervenire nel capoluogo sabino, per approfondire i temi della nostra Fede. I relatori infatti, tutti di altissimo livello, tra cui il caro presidente del Circolo Ragionar Cattolico di Livorno, Francesco Bernardini, relazioneranno circa lo Status Questionis nell’anno, appunto, della Fede concentrando l’attenzione in particolare su due testi appena usciti che gettano un fascio di luce e di sana dottrina cattolica in questi oscuri tempi segnati da relativismo, indifferentismo religioso, dal dialogo ad ogni costo che dimentica il mandato perentorio del Signore circa l’evangelizzazione a tutti i popoli, da una melassa buonista che, malintendendo il concetto di misericordia verso il prossimo, si esplicita in un atteggiamento colpevolmente dimentico appunto del fatto che, come afferma il Card. Giacomo Biffi, «la prima misericordia di cui abbiamo bisogno è la luce impietosa della Verita».  Ebbene i due nuovi testi apparsi per i tipi delle Diffusioni Editoriali Umbilicus Italiae di Rieti e cioè La Forza della Verità del grande teologo domenicano il Servo di Dio P.Tomas Tyn OP morto in concetto di Santità a 39 anni dopo aver offerto la propria vita in olocausto al Signore per la liberazione dell'allora Cecoslovacchia dal regime oppressore (da qui uno dei motivi della Causa di Beatificazione) e La Chiesa e la Sua Continuità della teologa romana Maria Guarini che compie un articolata analisi teologica delle scottanti problematiche del post-Concilio, gettano, come detto, una luce di sana dottrina cristiana e cattolica. I lettori che volessero partecipare all'importante convegno reatino, che tratterà anche degli ultimi sviluppi delle ricerche sulla Sacra Sindone, saranno i benvenuti.

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 20 di settembre 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)


HO RICHIAMATO IL CARDINAL MARTINI PROPRIO PERCHÉ LO AMAVO

di Alessandro Stucchi

In questi giorni sono stati in molti a chiedermi un’opinione personale sul cardinal Martini, dal momento che io e il mio ormai defunto arcivescovo emerito non sempre siamo andati d’accordo su svariati temi. La domanda, fra queste, che più mi ha colpito è stata quella rivoltami da una giornalista di Radio Marconi, mentre si era in fila per entrare in Duomo: «Come mai un giovane, che probabilmente non ha nemmeno mai conosciuto Martini, si mette in fila un'ora e mezza prima dell’inizio del funerale, per giunta sotto la pioggia, per entrare in Duomo ad assistervi? Cosa ha dunque rappresentato Martini per te?» La giornalista, con ogni probabilità, si aspettava una risposta simile alla maggior parte di quelle date dalla gente intervistata in piazza Duomo, e cioè un elogio delle aperture del cardinale nei confronti delle altre religioni, dei non credenti e del mondo. Io, invece, che non amo l’ipocrisia, nemmeno se essa mi consentisse di conformarmi al modo di pensare comune, ho risposto brevemente e in tutta sincerità ciò che ho sempre pensato: «Si tratta del mio cardinale arcivescovo emerito, un uomo che al pari mio ha sempre amato la Chiesa con tutto se stesso e con tutte le sue forze, e perciò, per quanto molte sue affermazioni e svariati suoi pensieri non siano condivisibili, rendergli omaggio anche a costo di piccoli sacrifici è il minimo che si possa fare». In effetti, su quest’ultimo punto non vi è molto di cui chiacchierare: a fare ciò ci pensa già la solita stampa italiana, disinformata e seminatrice di zizzania. Il cardinal Martini, come già scritto da una firma ben più autorevole di me, il dott. Massimo Introvigne, amava la Chiesa, la amava sinceramente, e tutto ciò che ha sempre dichiarato e che ha destato scalpore tra molti cattolici non costituiva altro se non la terapia che egli si sentiva di proporre. Terapia che, alla luce delle vicende che vedono coinvolta la cattolicità negli ultimi anni, risulta purtroppo sbagliata. Mi è stata rinfacciata da taluni, inoltre, la mia presunta falsità nell'aver partecipato alle sue esequie, dopo averlo sempre criticato quando era in vita, violando così l’imperativo evangelico «Non giudicate gli altri, se non volete voi stessi essere giudicati». Di fronte a tali accuse, io non nego le mie affermazioni sul cardinale; anzi, credo che la cosa migliore da fare sia ribadirle, in nome della stessa carità evangelica: se infatti non avessi amato il mio arcivescovo, lo avrei lasciato libero di proferire sentenze un po’ troppo spinte a destra e a manca, non preoccupandomi per il danno che esse avrebbero potuto portare alla Chiesa stessa (mettendo in chiaro per l’ennesima volta il fatto che egli le pronunciava in buona fede). Invece, proprio per il fatto che lo amavo, in più di un’occasione mi sono sentito in dovere di richiamarlo. Ritengo personalmente quest’ultima essere un’azione migliore di quella portata avanti nei giorni scorsi dalle svariate testate giornalistiche anticlericali e laiciste, le quali, tra le varie aperture compiute da Martini, elogiavano il suo rifiuto dell’accanimento terapeutico, paragonandolo ai casi di Eluana Englaro e Piergiorgio Welby: a parte il fatto che si tratta di casi diversissimi, quanto scelto da Martini è previsto dal codice di diritto canonico. Si impari, dunque, a saper distinguere tra le cose, e a non preoccuparsi soltanto di dover riempire a tutti i costi degli spazi bianchi di giornale. Ricordando, magari, che la scelta di Martini era stata la stessa, sette anni fa, compiuta dal beato Giovanni Paolo II.

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 20 di settembre 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

MAGISTERO E TEOLOGI, POLITICA E MAGISTRATURA

di Francesco Bernardini

Leggendo questa estate un libro della prof.ssa Maria Guarini La Chiesa e la sua continuità Ermeneutica e istanza dogmatica dopo il Vaticano II ho avuto modo di fare alcune riflessioni, che desidero condividere con voi. Inizio con questo passo: «Dal succo dei suoi studi seri e appassionati, oltre ad emergere la globalità e la serietà della crisi che ha investito la Chiesa, si evidenziano le ragioni prossime e remote […] Amerio afferma che il Magistero è stato abbandonato dai vertici della Chiesa per lasciarlo in mano ai teologi. E purtroppo la cultura divenuta egemone è forgiata da teologi che si definiscono cattolici e che di fatto insegnano l'opposto di quello che la Chiesa insegna (o forse insegnava?)». Sarà un caso ma è lo stesso problema e rapporto che è nato tra politica a magistratura. Il vuoto della politica (per la sua ricattabilità e/o per mancanza di obiettivi) è stato riempito, agendo al di fuori delle norme e delle consuetudini, dall’intervento della Magistratura che ha svolto un “servizio” di supplenza, magari anche richiesto da certa politica. Passando alle vicende della Chiesa, il parallelo salta agli occhi; non è possibile che una “casta” che era abbastanza ai margini della Chiesa, non avendo alcun potere effettivo, al contrario della Magistratura, abbia potuto arrivare a condizionare la Chiesa nella Sua Fede come è storicamente avvenuto e Amerio afferma, senza la connivenza e/o l’appoggio di certi – non è possibile stabilire quanti e quali – ambienti magisteriali. Le ragioni che hanno portato a questa situazione si abdicazione della Gerarchia possono essere molte ma quelle più evidenti sono:

La mancanza di motivazioni reali a combattere la battaglia contro “l’intellettualizzazione” della Fede. Le ragioni dovevano essere quelle della difesa della Tradizione e della Fede semplice (ma pura) dei fedeli, ma evidentemente, o per pigrizia, o per rispetto umano, o per convinzioni personali, certe motivazioni non c’erano.

Evidentemente l’attrazione modernista (nel senso di cronolatria) ha avuto più peso della Fede nella Chiesa in certa Gerarchia. Qualche senso di colpa può aver spinto molti alla scelta sbagliata.

Probabilmente il quieto vivere, il volemose bene, il rifuggire ogni metodo di condanna come la peste ha completato l’opera.

Ovviamente buona parte della Gerarchia ha preferito far fare il lavoro sporco ai teologi anziché impegnarsi in prima persona dedicandosi (tale Gerarchia) al lavoro di quinta colonna.

Mi vengono in mente le vicende ecclesiali riguardanti il Catechismo olandese e l’accoglienza (si fa per dire) della Humanae Vitae che saranno, spero, svelate nei loro retroscena. La mia esperienza personale, durante processi regolari o sommari subiti, è che i vescovi si guardano bene dallo sposare tesi teologiche ben al di là dell’idiozia, ma cercano sempre di salvare con “sebbene”, “quantunque”, “ma anche” le capre della Ortodossia con i cavoli delle affermazioni di certo clero teologante quantomeno lasciato a briglia sciolta.

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 20 di settembre 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

A BREVE SARÁ ON LINE IL SITO DEL CIRCOLO: UNA OCCASIONE PER TUTTI VOI

di Diego Vanni

E’ con gioia che vi comunico che assieme all’amico Francesco Bernardini sto lavorando alla realizzazione di un sito web del Circolo Ragionar cattolico. Lui ne cura la parte informatica (viste le sue ampie competenze in materia), io quella contenutistica. Direte voi: «Ed è necessario un articolo, un editoriale addirittura, per comunicare questo?!». Sì! Per due ragioni, che mi appresto a spiegare. La prima: questa è un’occasione per ciascuno di voi. Infatti, in esso non troverete soltanto (si fa per dire) il nostro Statuto; tutte le edizioni di questo giornale in formato pdf; le notizie relative agli eventi organizzati dal nostro Circolo (Rosari, conferenze…); le modalità di adesione al Circolo; i contatti e quant’altro, ma avrete anche modo di commentare. Da vedere come, ma avrete modo di commentare. Non si sa ancora se sarà possibile caricare on line tutti gli articoli cosicché abbiate modo di commentare i medesimi in maniera tale che il vostro commento nel merito di quel determinato articolo figuri immediatamente sotto all’articolo di riferimento, ma sicuramente vi sarà modo, per voi, di commentare, anche in maniera critica, ci mancherebbe! Questo è importante ed ecco il perché di un articolo e non di un semplice riquadro informativo sulla nascita del sito. E’ importante, appunto, sottolineare che avrete la possibilità di commentare gli articoli, di dire la vostra, che non è mera esaltazione di principio del pluralismo, ma una espressione, appunto, del ragionar cattolico, che è appunto il ragionare delle cose della fede, dimostrandone interesse. Si ragiona di tutto oggigiorno: di politica, di sport, di cronaca… E delle cose della fede?! Ci interessano forse meno della politica, dello sport, della cronaca?! Il ragionar cattolico – inteso stavolta come il Circolo – nasce da questa esigenza: ritrovarsi per (quantomeno… cercare di) ragionar cattolico, per vivere la nostra fede anche così. Non solo pregando (ovviamente cosa importantissima), non solo facendo la carità (cosa pure importantissima), ma anche ragionando, confrontandosi su certi temi, su certe questioni. Si pensi al dibattito circa alcuni temi bioetici o riguardo ai testi conciliari… Quante cose non ci sono chiare; quante risposte talvolta mancano. E’ normale! Ecco dunque che lo strumento del sito web diviene, in quest’ottica, fondamentale occasione di confronto e di scambio e anche – perché no – di critica (ovviamente argomentata e civile) nei confronti delle posizioni assunte dal Circolo, che è ben lungi dal godere del carisma dell’infallibilità! Che occasione per ciascuno di voi! La seconda ragione per la quale era il caso di scrivere un articolo sulla prossima nascita del sito del Circolo – e non un semplice riquadro o una semplice brevina (come si dice in gergo giornalistico) – consiste nel fatto che, curando io la parte contenutistica del sito, ho avuto modo di ripercorrere un po’ la storia di questi due anni di vita del Circolo e di rileggermi lo Statuto del medesimo. Il ragionar cattolico ha preso vita, formalmente, in data 19 novembre 2010, quando i 6 soci fondatori hanno sottoscritto l’Atto costitutivo e lo Statuto della nascente formazione cattolica. Da allora, tante cose sono cambiate; si è passati da posizioni molto polemiche a momenti di maggiore serenità; si è passati dal dar luogo principalmente ad iniziative di carattere dottrinale all’organizzare principalmente iniziative di preghiera e di carità; alcune persone se ne sono andate, altre sono venute; questo stesso giornale è cambiato, nella veste grafica e, soprattutto, nei contenuti (con un’offerta sempre più ricca di contenuti e con un ampliamento del numero di coloro che collaborano alla sua redazione). E che dire dello Statuto? Sono andato a rileggermelo – ovviamente, dovendo curare io la parte contenutistica del sito – e l’ho trovato di una bellezza e di un’attualità impressionante. Vi riporto solamente l’art. 1, dove sono sintetizzate le finalità del Circolo e dove si formalizza la consacrazione del medesimo a Maria Assunta: «Il Circolo, apartitico, si propone di essere un mezzo per la diffusione della fede cattolica nella società, attraverso un’apologetica che renda comprensibile a tutti la ragionevolezza della fede cattolica. Per questa ragione il Circolo si propone di organizzare conferenze ed eventi a tema, affinché ciascuno possa comprendere che la fede cattolica non è un’alienazione rispetto alla vita reale, ma che al contrario essa si incarna nella vita di tutti i giorni, affinché ogni aspetto della vita dell’uomo: dall’amore coniugale all’amicizia, dal lavoro ai passatempi, possa essere impregnato di sano cattolicesimo. Affinché qualsiasi scelta siamo chiamati a compiere sia ispirata da un sano ragionar cattolico. La capacità di ragionare in maniera cattolica deve permeare dunque tutti gli aspetti della vita dell’uomo. Come Gesù Cristo si è incarnato, anche la fede cattolica deve incarnarsi nella vita di tutti i giorni, ispirandola e guidandola su retti sentieri, a maggior gloria di Nostro Signore Gesù Cristo, Re immortale dei secoli che vive e regna col Padre e lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Il Circolo si pone sotto la speciale e materna protezione dell’augustissima Madre di Dio, Maria santissima, innalzata in anima e corpo alla gloria del Cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli». E’ sintetizzato tutto qua il senso di questo Circolo: «essere un mezzo per la diffusione della fede cattolica nella società, attraverso un’apologetica che renda comprensibile a tutti la ragionevolezza della fede cattolica»; la sua non alienazione rispetto alla vita reale, la sua incarnazione nella vita di tutti i giorni; la «capacità di ragionare in maniera cattolica» o, almeno, di provarci. E, in quest’ottica, lo strumento del commento, della discussione sul sito web è, a mio avviso, efficacissimo. E’ la dimostrazione che quelle cose ci interessano, ci riguardano, fanno parte – riprendo lo Statuto – della vita reale e non sono un’alienazione rispetto ad essa. Mi avvio alla conclusione, con due ultimi pensieri. Il primo: il bilancio di questi due anni di vita del Circolo mi sembra assolutamente positivo, fermi restando i nostri limiti e le nostre miserie umane, che certo non nascondiamo. Questo Circolo ha riportato di pubblico dominio, almeno nella nostra zona – da tempo afflitta da torpore e tiepidezza – la dimensione della fede, dei suoi contenuti (relegata/i da tempo alla dimensione privata della camera di ciascuno); ha sollevato alcune questioni – argomentando – alle quali si è risposto non argomentando o non rispondendo proprio (e mi sembra che sia un atteggiamento che parla da sé); ha sollevato polemiche – sicuramente talvolta senza flemma, facciamo ammenda – ma certamente non pretestuose o sterili o, per meglio dire, ha reso di pubblico dominio certe questioni (talvolta polemizzando con l’autorità ecclesiastica, ma in maniera molto più rispettosa nei confronti della medesima di chi preferisce bisbigliare contro di essa, cosa che non dà modo ad essa di difendersi e replicare, mentre noi le abbiamo sempre dato modo, vista la pubblicità della polemica, di difendersi e replicare); ha organizzato iniziative di preghiera e di carità! Direte voi: «Bella autoincensazione!». No – replico io. Perché tutto ciò che di positivo c’è stato – e cioè ciò che ho elencato fin ora – non è merito nostro, ma dello Spirito Santo e dell’assistenza della Madonna, sotto la cui materna protezione, da Statuto, siamo posti. Il secondo (collegato al primo): posta la positività di questa esperienza, invito tutti voi a condividere questa stessa esperienza con noi, a collaborare col Circolo nelle sue iniziative di carità e non, magari ad iscrivervi ad esso – sul sito troverete l’apposita sezione adesioni – o, quantomeno, a visitare costantemente il sito che a breve nascerà, utilizzando lo strumento del commento secondo la logica di cui scrivevo prima per cui anch’esso contribuisce al ragionar cattolico; si discute delle cose che ci toccano, delle cose per le quali abbiamo interesse. Per queste cose lo abbiamo?!

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 20 di settembre 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

IL GIOVANILISMO NELLA LITURGIA / COMPLIMENTI A GIULIANA: UN’ANALISI DI UN REALISMO STRAORDINARIO

di Giuliana Calastri

Provate ad immaginare se si può parlare di un culto buddista o buddismo, un culto islamico o islam, un culto ebraico o ebraismo… per i giovani! Detto così sembra molto strano, no?! Anche perché un buddista, un islamico o un ebreo si chiederebbero subito: ma che hanno di speciale questi giovani rispetto agli altri?! La cosa incredibile è che, dalle nostre parti, si arriva a parlare di un “cristianesimo” e di “un culto cristiano” per i giovani e nessuno dice nulla. Come mai? E’ tipico della cosiddetta religione - intesa in senso lato - mostrare valori perenni che superino le generazioni e le stringano tra loro (non a caso il termine latino religio è simile a religo, lego) perché il continuo mutamento è antitetico e contrario alla fede, a qualsiasi fede. Questo riguarda la religione in tutti i sensi e tutte le religioni: l’atteggiamento di fondo della fede è quello di porsi al di sopra di tutti per collegarli tra loro, non di settorializzarli in base all’età. Bisogna poi tener conto di un atteggiamento psicologico perenne: i giovani osservano con attenzione gli adulti quando hanno qualcosa di importante da imparare. Un adulto di valore attira realmente la stima dei giovani, che, sembra, non aspettino di vedere altro. I bambini a loro volta osservano i genitori. Un bambino non è felice se lo facciamo sentire piccolo, ma se gli diciamo: «ora fai una cosa da grande». Un bambino osserva il “grande”, con il desiderio di essere come lui, di fare le cose che fa lui. Se un adulto, davanti ad un bambino si comporta infantilmente, in qualche modo tradisce le attese del bambino. Quando nel culto si dà molto peso alla componente “didattica”, allora si inizia a settorializzarlo: esisterebbe un culto per i bambini, uno per i giovani, uno per gli adulti, uno per la terza età. Ma il culto è innanzitutto diretto a Dio, non a delle fasce d’ età! Pensare questo significa trasformare la Chiesa da tempio ad aula scolastica. Il giovanilismo, un atteggiamento favorevole in tutto ai giovani, finisce per far diventare, poi, “vecchio” tutto quello che ai giovani potrebbe non piacere. Affermando questo si cancella quanto di alto, nobile e durevole ci precede. Lo stesso riguardo alle persone le quali non sono valutate per il loro spessore di vita ma per la loro età. Chi non è giovane, si pensa, è ritenuto inutile, non è in grado di dire e di trasmettere nulla. Ma questa è una pessima ideologia, per giunta totalmente errata: è contraria alla storia e alla cultura e non può portare a nulla di buono, quel buono che solo il tempo può provare e ritenere tale! Sempre per la stessa ideologia, quanto può essere patrimonio della tradizione liturgica viene allontanato e si fa entrare nel culto quanto si ritiene di gradimento alla gioventù. Ma cosa può piacere alla gioventù quando la gioventù stessa, si aspetta, in realtà, di ricevere cose sostanziose? I giovani si innamorano di quanto gli si mostra di meglio, soprattutto quelli che sono di buona volontà ed intelligenti ( 42 anni di insegnamento me lo fanno dire a ragione). Il giovanilismo è un atteggiamento realmente insensato: è simile a quello di un maestro che, entrato in aula, si aspetta di ricevere risposte dai suoi alunni invece di tentare di fornirgliene. Così, abbassare tutto indefinitamente, culto compreso, significa abdicare ad un ruolo educativo e svuotare il tesoro ricevuto. Se si osserva attentamente, la liturgia tradizionale ha un ruolo educativo per tutti, giovani e meno giovani. Ha un aspetto che va oltre il tempo perché è animata da quanto è perenne. Si presenta sempre con un tenore molto alto. La liturgia tradizionale insegna che la vera didattica si fa non abolendo il senso del sacro, del bello, dell’arte spirituale; la pietà, la preghiera… E’ necessario per tutti che queste cose rimangano; non per un tradizionalismo statico, ma perché sono un altissimo patrimonio. Purtroppo non sono ancora in molti a vederla così.Perciò la televisione italiana continua a trasmettere idee diseducative: in occasione del viaggio del Papa a Madrid (16-21 Aprile 2011), la televisione ci fa giungere l’ opinione di un ragazzo italiano che vi partecipa, il quale in due parole, lancia un velenoso strale contro «le vecchie preghiere della parrocchia» e si pronuncia a favore di tutto ciò che è bello per i giovani. Costui, che dovrebbe parlare solo dopo aver capito la differenza tra il sensato e l’ insensato, riporta, ne sono convinta, il pensiero di un certo clero il quale, evidentemente, continua a sparare a zero contro quello che ancora c’ è di tradizionale nel culto cattolico. La corsa dal facile al facilissimo è chiaramente finita nel cattolicesimo. Non vedo in tale corsa nulla di duraturo e costruttivo e temo che potrebbe terminare solo nel vuoto.Mi si affaccia, in questo momento, un’ immagine nella mente: ma dove sono i giovani nella mia chiesa? Io vedo solo teste grigie o bianche che ovviamente tendono diminuire e che si debbono sorbire squallide esibizioni istrioniche dedicate a chi non c’è.

COMPLIMENTI A GIULIANA: UN’ANALISI DI UN REALISMO STRAORDINARIO
Fra l’originale e la fotocopia, solitamente, potendo, si sceglie l’originale

di Diego Vanni

Cara Giuliana, ho letto con molto interesse il tuo articolo sul giovanilismo nella liturgia e devo dire che l’ho apprezzato moltissimo. L’ho trovato di un realismo e di una franchezza straordinari. In effetti, quello a cui spesso ci tocca assistere ha del demenziale, del ridicolo! La giovanilizzazione della liturgia. La cosa – la giovanilizzazione della liturgia – non è grave, tuttavia, solamente all’atto pratico. E’ sì grave nella sua dimensione concreta perché svilisce il Rito nella sua dimensione “estetica”, lo abbassa a dimensione di bassa lega, ma è ancora più grave, a mio giudizio – io infatti odio l’estetismo puro in liturgia – a livello teorico, nella misura in cui questa giovanilizzazione liturgica – non richiesta dai diretti interessati, peraltro (ma approfondirò dopo) – presuppone che la liturgia, la divina liturgia, i sacri misteri dell’altare, sia un po’ deficiente (nel senso letterale del termine), che manchi di qualcosa. Mancanza alla quale, evidentemente, pone rimedio certo clero illuminato. Beh… questo è grave! Sostenere che i sacri riti siano deficienti in quanto non in grado di “trasmettere” ai giovani è, a mio giudizio grave. Il bello (si fa per dire) è che questo clero che accusa (implicitamente) il nuovo Rito della Messa di essere deficiente quanto a “trasmissione ai giovani” è quello stesso clero cha accusa i lefebrviani di contestare il nuovo Rito! Ma – sarebbe da chiedere a questi preti – voi non fate (implicitamente) altrettanto quando lo modificate per adattarlo ai giovani?! Quindi, al limite, siete uguali, ma, in tutta franchezza – e pur senza addentrami nel complesso dibattito e senza prendere posizione – la “contestazione lefebrviana” poggia su argomentazioni un tantino più profonde, dottrinali! Ciò detto, riprendo un argomento accennato prima, per inciso. Scrivevo poc’anzi che questa giovanilizzazione della liturgia non è stata mai richiesta dai diretti interessati. E’ un aspetto non di poco conto, sintetizzabile nel toscanissimo: «Ma chi ti ha chiesto nulla!». Già! Perché se già sarebbe sbagliato modificare la liturgia su richiesta – e chi sei tu per richiedere! – quanto più assurdo e farlo (se in modo peggiorativo) non su richiesta. Chi scrive, infatti, tanto per non andare a cercar lontano, è giovane! Chi scrive non ha mai richiesto ai preti alcuna giovanilizzazione del Rito! E con me la stragrande maggioranza dei miei coetanei, anno più anno meno! Fra l’originale e la fotocopia, infatti, solitamente, potendo, si sceglie l’originale! Questo per dire che quando si riduce la Messa ad una baracconata, ad un fenomeno circense, ad una sottospecie di movida, di discoteca, non solo si fa un danno sacrilego enorme – i preti ne risponderanno al Padreterno – ma non si ottiene nemmeno il risultato sperato (riempire le chiese) visti i dati statistici al riguardo. Eh sì! Perché, come scrivevo poc’anzi, fra l’originale e la fotocopia, infatti, solitamente, potendo, si sceglie l’originale! Per cui, fra una Messa discotecara e la discoteca vera, i giovani preferiscono la discoteca vera (giustamente e razionalmente); fra una Messa da movida e la movida vera, i i giovani preferiscono la movida vera; fra una Messa karaoke ed il karaoke vero, i giovani preferiscono il karaoke vero. Questo è tanto evidente ad una mente logica, ma… tant’è! Certo non si capisce come possano certi preti aver studiato (fruttuosamente) materie complessissime come la teologia trinitaria, quando non capiscono concetti di una tale semplicità come questo! Bah!

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 19 di luglio 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

BENE L’ ISTITUZIONE DELL’ANNO DELLA FEDE, CONTRO IL SENTIMENTALISMO ESPERIENZIALE PROSTESTANTE, NEL SOLCO DI PADRE TYN

di Gianni Battisti 

Papa Benedetto XVI ha opportunamente indetto l’anno della Fede. In effetti spesso i fedeli sono disorientati, sballottati qua e là da mille venti di dottrina ed influenzati spesso da falsi profeti e cattivi maestri che imperversano ahimè, non di rado, anche all’interno della compagine ecclesiale. Urgeva ed urge pertanto una robusta riflessione in tutto l’Orbe Cattolico circa la Fede, circa questa fondamentale virtù teologale, come detto, spesso colpevolmente e scriteriatamente inquinata soprattutto al giorno d’oggi e questo, cosa ancor più grave, per manie di grandezza e di protagonismo che nulla hanno a che fare appunto con l’onestà intellettuale che dovrebbe essere premessa costante di un costruttivo dibattito volto all’approfondimento delle intramontabili verità cattoliche. Come afferma con sagacia P. Giovanni Cavalcali, dobbiamo renderci pienamente conto che purtroppo al giorno d’oggi circolano molte eresie e stranamente assistiamo ad un imbarazzante silenzio della Gerarchia su di esse quasi che i legittimi pastori posti a guida del gregge di Cristo, volessero abdicare dal fondamentale compito di correggere gli erranti. Ora P.Tomas Tyn sentì al contrario, come una vera e propria missione affidatagli dal Signore, quella di divulgare la retta dottrina cristiana e cattolica essendo pienamente consapevole del fatto che la corruzione della Fede è la cosa più grave che possa esistere soprattutto in prospettiva della Salus Animarum. Padre Tomas si erge così a vero maestro di Fede per i nostri difficili tempi risultando il Suo illuminato insegnamento di Tomista convinto e convincente un grande aiuto anche e soprattutto nell’anno della Fede. Il grande predicatore domenicano che offrì in olocausto al Signore la sua vita per la liberazione dell’allora Cecoslovacchia dal regime oppressore – da qui uno dei motivi della Causa di Beatificazione – ha considerato in effetti sempre fondamentale la purezza dottrinale ed è stato per tutta la sua vita convinto assertore, da metafisico di razza, della importante verità consistente nel fatto che Qui ignorat Metaphisicam in Theologia semper erit peregrinus, cosa che alcuni “teologastri” contemporanei hanno del tutto dimenticato, sulla presunta, errata convinzione, di aver raggiunto una fede più autentica ed “esperienziale” che sarebbe in grado, ahimé, di poter fare a meno del fondamento dogmatico e speculativo. Già, l’esperienza la fa da padrone al giorno d’oggi soprattutto tra gli smarriti fedeli. Non è raro imbattersi in persone che frequentano lodevolmente la Chiesa ed i Sacramenti e che però, una volta interrogati circa alcuni stravaganti comportamenti tenuti ad esempio in ambito liturgico – sul malinteso presupposto della assoluta necessità di un’Actuosa Partecipatio – abbiano ad affermare in tutta serenità di non badare tanto a vedere se un’azione liturgica sia corretta o meno, se una determinata dottrina sia o meno corretta, ma di guardare all’ ”essenziale”, se cioè – ecco la radice dell’imperante sentimentalismo dei nostri giorni – la frequentazione liturgica e sacramentale “mi fa stare bene”. Ora, è pacifico che la grazia elargita dalSignore attraverso la Sua Chiesa e i sacramenti faccia anche “stare bene”, ma questo non é certo l’aspetto maggiormente rilevante, potendo l’individuo stare bene anche all’interno di compagini immorali che soddisfino, per esempio, le sue concupiscenze. Il punto dunque è un altro e si discosta da questo “esperienzialismo” e “ sentimentalismo” di conio chiaramente protestante. Il punto è – e P .Tomas lo aveva capito profondamente e cercò in tutta la Sua vita di trasmetterlo instancabilmente con la parola, con gli scritti e con l’esempio – che solo da una retta dottrina può discendere un retto agire. Ecco l’importanza della purezza della Fede poiché la corruzione della Fede é molto piu’ grave della corruzione dei costumi. Afferma giustamente P. Giovanni Cavalcoli: «Nella misura in cui si aggraverà l’attuale disorientamento e relativismo nel campo della morale, si sentirà sempre più il bisogno di rifarsi all’insegnamento di P. Tyn, il quale, col suo robusto pensiero dogmatico e speculativo, ci ricorda che una lotta efficace contro l’errore in morale é data solo dalla confutazione degli errori dogmatici e speculativi che ne sono alla base, proponendo in questo campo, con validi argomenti, la sana dottrina». Abbiamo avuto la grande grazia del Cielo di aver avuto con noi P. Tomas Tyn nei mitici quindici anni bolognesi. Novello San Tommaso D’Aquino arrivato, appunto, per grazia di Dio a far apostolato in Italia in quegli anni, P. Tomas Tyn ha restituito un po’ della sua immensa nobiltà alla Sacra Teologia rendendola ancor più ed ancor meglio la “Scienza dei Santi” ed aiutando tutti noi, se solo lo vogliamo e abbiamo la perseveranza di accostarci umilmente al suo grande insegnamento, a vivere nel migliore dei modi la nostra Fede.

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 19 di luglio 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

UN ESPONENTE DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI DÁ RAGIONE AL CIRCOLO RAGIONAR CATTOLICO

di Francesco Bernardini

Ricordate quando nel Settembre del 2011 organizzammo la Giornata contro i mercenari svoltasi con l’apertura di un tavolo di colloquio con la gente sia di Guasticce che di Stagno? Ricordate l’articolo pubblicato sul Tirreno (benché profondamente impreciso perché sembrava che il problema fosse il parroco di Guasticce, quando invece il problema nel clero riguarda tutta la Chiesa e ha dimensioni decisamente più mastodontiche)? Ricordate polemiche che ne nacquero? Dopo circa un anno un supporto alle nostre argomentazioni ci viene anche da padre Vincenzo Nuara della pontificia commissione “Ecclesia Dei”, il quale nella seconda domenica dopo Pasqua, domenica del “Buon Pastore”, ha celebrato a Livorno, la S. Messa in Rito antico. Nell’omelia, egli ha denunciato inmaniera accalorata ed esplicita la presenza gravissima e maggioritaria, per di più a tutti i livelli, dei “mercenari” tra i pastori della Chiesa. Chi sono oggi, per Padre Vincenzo Nuara, i mercenari della parabola evangelica del “ Buon Pastore”?! Certamente coloro che, disinteressandosi completamente delle pecorelle a loro affidate, non le pascolano ed anzi, con la scusa degli impegni nei confronti del mondo, le disperdono. Certamente coloro che, di fronte ad appelli accorati e ripetuti di aiuto, fanno finta di non sentire e lasciano chi è stato a loro affidato senza guida e senza sostegno. Certamente coloro che, accortisi che una pecorella si è smarrita, invece che andarla a cercare e recuperare, la accusano di tramare contro il gregge e la considerano una reietta da emarginare. Certamente coloro che, avvisati della presenza del lupo che incombe sul gregge, con la scusa di non credere alla sua (del lupo) esistenza, non muovono un dito per difendere le pecore. Certamente coloro che, all’insaputa delle pecorelle più o meno ribelli, e senza dialogare con esse, le condannano senza appello discreditandole ed additandole al pubblico ludibrio. Certamente coloro che, bypassando il Buon Pastore Gesù, ambiscono a condurre il gregge come ritengono più consono ai propri pensieri ed alle idee del mondo, e quando qualcuno fa presente che il gregge si sta disperdendo, ignorano il problema, che in fondo non interessa loro, con la “ politica dello struzzo” ed anzi, tacciano chi ha sollevato la questione, di “ profeta di sventura”. In ultima analisi sono mercenari e non pastori tutti coloro che, avendo ricevuto da Gesù Cristo la missione di pascolare il Suo Gregge, hanno deciso di vendersi al proprio tornaconto, sia materiale che di immagine, anziché “donarsi fino all’ effusione del sangue” per coloro che, salvati dal Sangue di Cristo, sono stati loro affidati. Costoro, dice Padre Vincenzo Nuara, «non sono degni del nome di Pastore». Ma quanto è diffuso il fenomeno?! Padre Vincenzo Nuara ha concluso la sua omelia con parole stigmatizzanti la tragedia che stiamo vivendo «Comunque, fratelli, non perdiamo la speranza: qua e là, all’interno della Chiesa, ci sono ancora dei buoni pastori, nostro compito è sostenerli». Se questi «buoni pastori» sono solamente «qua e là», va da sé che la stragrande maggioranza dei pastori, non sono buoni pastori. Pertanto, occorre pregare (e molto), ma anche denunciare (a scopo costruttivo, evidentemente) la gravissima situazione nella quale ci troviamo a vivere e, parallelamente, sostenere quei «buoni pastori» che ancora rimangono. Anche noi, nel nostro piccolo e pur con tutte le colpe che abbiamo, con tutti gli errori che abbiamo fatto e che faremo, ci assumiamo il compito di sostenere i “buoni pastori”, pubblicamente e privatamente, pregando per loro e sostenendoli con le parole e con le opere. Le nostre preghiere non mancheranno neanche per coloro che buoni pastori non sono perchè il Signore li aiuti, costoro non si meraviglino e non si scandalizzino se troveranno nel nostro Circolo un ostacolo alla loro opera di scristianizzazione.

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 18 di giugno 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

A PROPOSITO DEL… «NON GIUDICARE»

di Diego Vanni

«Non giudicate, per non essere giudicati» (Mt 7, 1). Quante volte lo si sente dire?! Ma cosa significa veramente questo passo evangelico? Qual è l’insegnamento pratico che occorre trarne? Far silenzio su tutto?! Non prendere mai posizione su nulla?! Non giudicare mai checchessia?! Starsene sempre in un asettico, indeterminato limbo?! Io non ritengo proprio che sia così! Anche perché sarebbe in netto contrasto (per non dire in antitesi) con un altro passo della Scrittura, laddove si dice: «poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap. 3, 16). Dunque, questo passo del Vangelo sul “non giudicare” non significa non giudicare l’operato di una persona; le idee e le posizioni di una persona; l’operato di una persona! No! Con buona pace dichi strumentalizza questo passo del Vangelo, esso non è un lasciapassare per qualsiasi idiozia; per qualsiasi comportamento o operato; per qualsiasi ideologia. Ciò che non si deve giudicare è la persona. E “non giudicare” la persona significa non emettere sentenze su di essa, cosa che spetta al Padreterno che, appunto, alla fine, giudicherà emettendo la sua sentenza di salvezza o dannazione eterna. Essa – la sentenza di salvezza o dannazione eterna – dunque non è certo di nostra competenza, ma… tutto qua, anche se non è poco. Comportamenti; operati (di azione o omissione); dottrine; ideologie; sì che possono, anzi debbono, essere giudicati. Tuttavia, come accennato, c’è chi non la pensa così o chi, in malafede, impugna questo passo a mo’ di salvaguardia del suo operato, delle sue tesi o quant’altro; una sorta di «non potete parlar male di me». Già! Perché laddove il giudizio dovesse essere, al contrario, lusinghiero, benigno, generoso… beh: allora il passo di Matteo già citato non vale più! Questa è una strumentalizzazione! Tanto patetica, quanto evidente. Eh sì! Perché se il “non giudicare” fosse un precetto che investe la totalità della realtà si arriverebbe a situazioni paradossali ed assurde. Così, per fare un esempio, un fedele che sentisse il suo parroco predicare dall’altare in favore dell’aborto, non potrebbe giudicare questa sua presa di posizione prendendone pubblicamente le distanze e “colpire” col suo giudizio negativo quella presa di posizione. Ma… la Dottrina della Fede?! Che fine fa?! Ecco allora che tale fedele non solo può, ma deve necessariamente, giudicare. “Giudicare” – repetita iuvant – non nel senso di dire: «Quel prete brucerà all’Inferno» (anche perché se egli si pentirà e confesserà il suo peccato…), ma nel senso di prendere una posizione; per sé stesso (al fine della «buona battaglia» di cui parla San Paolo che giova alla salvezza dell’anima) e per gli altri (al fine di evitare di confermarli nell’errore o, per meglio dire, di non disconfermarli, dall’errore). E qui non c’è prete, vescovo o cardinale che tenga. Sì! Perché ci possono essere questioni teologiche complesse sulle quali, effettivamente, è prudente e saggio che il semplice fedele che non ha preparazione teologica non proferisca parola; ma ci sono questioni dottrinali per le quali non occorre essere laureati in teologia per proferire parola. Come nell’esempio che facevo poc’anzi: se un prete (o anche un vescovo) si pronuncia in favore dell’aborto, è lampante che è in errore e questo lo sa anche il semplice fedele (di sana dottrina). E non se ne faccia una questione di autorità! Perché l’autorità che un prete o un vescovo ha, la ha vincolatamente alla propria fedeltà al deposito della fede; nel momento in cui, in maniera palese, il prete x o il vescovo y si discosta da tale depositum fidei quell’autorità la perde e, dunque, non può chiedere ubbidienza. Diversamente, Dio non sarebbe Dio, ma quel prete o quel vescovo (sedicente) disponente di un’autorità assoluta, svincolata da qualsiasi elemento e, nella fattispecie, dalla fedeltà dovuta al conferitore di quell’autorità, al suo divino insegnamento. Ed evidentemente non è così! Senza scomodare alcuni vescovi e preti (ossia le loro – e ahinoi non stiamo facendo esempi scolastici, ma stiamo parlando di cose che accadono nella realtà – posizioni deviate), si pensi ad un neonazista che compia stragi in nome di quell’ideologia. Cosa significa “non giudicare”, in questo caso?! Prendendo per buona l’interpretazione che io confuto in quest’articolo, “non giudicare” non significherebbe solamente non emettere una sentenza definitiva su quel soggetto, ma anche non giudicare il suo operato, non proferire parola su ciò che fa (omicidi) e sull’ideologia (il nazismo) in base alla quale lo fa. Vi sembrerebbe giusto?! Ve la sentireste di non giudicare quell’operato di omicidi e quell’ideologia orrenda che ne sta alla base?! Di non prendere posizione (magari se la cosa avvenisse nel vostro paese)?! Io credo proprio di no – e menomale! Beh; se questo vale per l’operato dello stragista nazista, vale anche, talvolta, per l’operato di preti e vescovi. Una cosa infatti è certa: la frase del Vangelo: «Non giudicate, per non essere giudicati» Quale che sia l’interpretazione, certo non si fa differenza quanto ai destinatari.

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 18 di giugno 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

UN GIORNO, PER CASO. UN APPELLO AGLI AMICI DI RIETI: FORMIAMO UN GRUPPO PER LA MESSA TRIDENTINA IN CITTA'

di Giuliana Calastri

Circa un anno fa , per caso, ho conosciuto un amico. Per caso abbiamo cominciato a parlare di tanti argomenti tra cui, una domenica mattina, di Messa. Lui mi ha svelato l’emozione che prova ogni volta che va ad assistere alla celebrazione liturgica secondo il rito “vetus ordo”. Le sue parole mi hanno emozionato, devo dire la verità, perché sono state dette con un trasporto, un luccichio dell’ anima che hanno sbalordito me, credente che faccio troppo spesso fatica a stare concentrata durante il rito. Ho allora, incuriosita, cercato di documentarmi su questa, per me “nuova” liturgia ed ho trovato la “Summorum Pontificum”, ossia una lettera apostolica di Papa Benedetto XVI°, pubblicata in forma di motu proprio, il 7 Luglio 2007. Il motu proprio contiene le indicazioni giuridiche e liturgiche per la corretta celebrazione della messa tridentina e tali disposizioni sono entrate in vigore il 14 Settembre 2007. Ho cercato perciò se a Rieti o nelle vicinanze ci fosse qualche chiesa nella quale si celebrasse la Messa vetus ordo, un mio ricordo di infanzia, ma… il nulla assoluto. La città più vicina era Roma, ma oramai il mio desiderio di vedere, toccare con mano, ciò che il mio amico prova ogni volta che assiste alla Messa era diventato così forte che mi sono recata nella Capitale per assistere al rito vetus ordo. Via Merulana, entro, prima meraviglia: il prete era di fronte all’altare, di spalle ai fedeli e c’era la balaustra dove inginocchiarsi per ricevere la Comunione: che ridda di pensieri; «ma questa era la Chiesa, il rito che io frequentavo da bambina !». Entro e con me un folto gruppo di fedeli, ci si fa il segno della croce con l’acqua santa ed arriva il parroco con due compostissimi chierichetti. La funzione è celebrata tutta in latino ed i fedeli rispondono in latino. Solo l’ omelia e le letture del Vangelo restano in italiano ma i fedeli seguono la Messa aiutati da un libretto che riporta il latino a sinistra e l’italiano a destra. Seconda meraviglia: pensavo che i fedeli attratti dalla Messa in latino fossero dei nostalgici, invece la maggior parte dei presenti era composta da adulti, giovani e famiglie con bambini anche molto piccoli, ma con che compostezza, che serietà seguivano la liturgia, mica scorrazzando per le navate come troppo spesso accade nelle Messe che frequento di solito! Terza meraviglia: questa Messa è bella, si intuisce il Mistero che si celebra; è come si fosse più Presenti! Si riesce a pregare tanto nei momenti di silenzio che durante i canti gregoriani i quali favoriscono, in modo incredibile, la preghiera: si capisce quale è il punto centrale della Messa, che non è la predica del prete, perché ogni gesto o parola del rito ha un suo preciso significato che fa trasparire sia la cura che si dovrebbe avere nei confronti di Colui che per noi è morto e risorto, sia per la Bellezza che ha portato su questa terra. Mi sono resa conto di quanto, in effetti, sia difficile concentrarsi e pregare quando c’è un frastuono di chitarre e canzonette anni ’60 adattate per la liturgia, ed il parroco usa fare la predica scendendo dall’altare con il microfono in mano come se fosse un pippo baudo che deve vendermi qualche cosa. Ho capito che la Messa deve essere Cristocentrica, e questi preti modernisti, al centro mettono loro stessi ed i loro coretti. Da quando ho avuto modo di frequentare la Messa vetus ordo, cerco di andarci tutte le volte che posso, troppo poche invero, per questo vorrei che nella mia città ci fosse la possibilità di avere almeno un rito, alla domenica, celebrato in questo modo; cosa occorre? Un gruppo di fedeli che lo chiedano, un sacerdote celebrante, null’altro. Amici reatini, credetemi, questa liturgia fa commuovere, fa percepire la presenza reale di Cristo in una maniera straordinaria, ci aiuta a concentrarci senza le schitarrate varie delle messe moderniste. Un appello: creiamo un gruppo, cerchiamo un sacerdote disponibile, ricordiamo che il Cardinale Paggi ha sempre continuato a celebrare la Santa Messa con il rito tridentino di San Pio V° e a chi gli ha chiesto: «Perché non si è adeguato alla riforma?» ha risposto «Scusi, ma perché mi pone questa domanda? Io ho sempre celebrato secondo i Messale di San Pio V° che, è bene ricordarlo, il Concilio Vaticano II non ha mai abrogato». Ed allora il vetus ordo è una novità?! No, è una tradizione! E chi voglia perpetuarla mi contatti; creiamo un gruppo che potrà affermare «Qui laetificat juventutem meam», cioè la testimonianza della giovinezza di Dio e la Sua immensa misericordia, la misericordia del Padre che rinnova nella fede i suoi figli donando la gioventù e la freschezza di chi crede, nel silenzio e nel raccoglimento. Ma credete davvero che tutto sia frutto di un caso?

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 17 di maggio 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)


APOLOGETICA EUCARISTICA (PARTE SECONDA)

di Francesco Bernardini

Volevo continuare il mio precedente articolo sul Giovedì Santo Apologetica Eucaristica riportando in questo numero del giornalino le cronache di alcuni miracoli eucaristici per rendere più vivo e più presente a noi tutti l’immenso tesoro che Gesù ha voluto donarci tramite l’offerta del Suo Corpo e del Suo Sangue. Mentre facevo una ricerca su Internet alla ricerca di notizie sui miracoli Eucaristici mi sono imbattuto i questa pagina web, un articolo di Alex Landi che non posso far altro che pubblicare per intero. Nel prossimo numero riporterò notizie più numerose sui miracoli eucaristici.

L’Eucaristia è legata all’Incarnazione

Non è possibile rimanere indifferenti davanti al gran numero di miracoli scaturiti dal sacramento dell’Eucaristia. Sono talmente tanti che alcuni libri hanno provato a riportarli tutti, riuscendo però ad offrirne appena un elenco parziale. Sant’Ireneo di Lione, vescovo e martire, uno dei primi Padri della Chiesa d’Occidente, ebbe una felice intuizione quando disse: “Se si crede all’Incarnazione, non si può non credere all’Eucaristia”. Alcuni miracoli tramandati dalla storia.

In rapida successione, possiamo ricordare:

1) il prete che nel 1264 officiava la Messa nella chiesa di Bolsena e che mise in dubbio la reale presenza di Gesù nell'Ostia: al momento dell'elevazione, la particola cominciò a sanguinare e macchiò i paramenti del sacerdote; il corporale intriso di sangue è conservato nel duomo di Orvieto all'interno del reliquiario di Ugolino da Vieri, ed uno splendido affresco di Raffaello ha immortalato l'avvenimento.

2) Nel 1453, a Torino, un prezioso ostensorio che era stato rubato si sollevò da solo senza che nessuno l'avesse toccato, restò sospeso a lungo in aria e poi cadde; l'Ostia, invece, rimase fluttuante ancora alcuni momenti, per poi scendere lentamente nelle mani dell'arcivescovo. Tutto questo avvenne davanti a centinaia e centinaia di fedeli. Fu aperta un'indagine e si appurò che tutto era vero. Sul posto fu poi costruita la chiesa del Corpus Domini.

3) Nella reggia dell'Escorial, in Spagna, è conservata intatta l'Ostia che nel 1572 sprizzò sangue dopo essere stata calpestata da un ebreo; il miracolo provocò la conversione al Cattolicesimo dell'uomo e la particola venne racchiusa in un ostensorio arricchito da migliaia di brillanti.

Per risalire ancora nel tempo, miracoli simili ci vengono raccontati da san Gregorio di Nazianzo,
san Cipriano e da altri ancora.

Gesù, la Verità, si offre per noi

Trovandoci davanti ad un Mistero divino, la ragione annichilisce e c'è spazio solo per l'adorazione. Ci basta sapere di essere a pochi metri da Gesù, da Dio, con Lui che si fa cibo spirituale per noi. Come ci insegna S. S. Giovanni Paolo II nell'enciclica Fides et ratio, è solo mettendosi al servizio della Verità che la ragione può esserci d'aiuto. E la Verità, lo sappiamo, non è un insieme di concetti, bensì una Persona, lo stesso Gesù che ritroviamo nell'Eucaristia. E' soltanto avendo il cuore rivolto a Lui che la mente non costituisce pietra d'inciampo, non alimenta quell'orgoglio che è sorgente di ogni ribellione, di Lucifero prima, dei nostri Progenitori poi e adesso nostra.

Le leggi della fisica ci spiegano l’Eucaristia

La fede in Dio e nel Vangelo, quindi, ci assicura che l'Ostia è davvero Gesù, e la ragione ci dice che anche il cibo che noi mangiamo si trasforma in sostanze che andranno ad alimentare ed a costituire in parte la nostra carne ed il nostro sangue; ci dice anche che, allo stesso modo, la sostanza dell'Ostia divina andrà a fortificare e santificare il nostro spirito. Che come l'acqua può assumere più aspetti (vapore, ghiaccio, liquido), così Cristo – a cui è soggetta tutta la natura – può assumere l'aspetto del Pane e del Vino eucaristici, come ha stabilito durante l'Ultima Cena. Che se crediamo ai miracoli di Gesù descritti nei Vangeli ed alle profezie poi avveratesi, è ragionevole credere a tutto ciò che ha detto Gesù, niente escluso (come disse Pascal: "se il Vangelo è vero, se Cristo è Dio, che difficoltà c'è a credere nell'Eucaristia?"). Che visto che la forma è il pane e la sostanza è il Cristo, quando il sacerdote spezza l'Ostia, ad essere frammentata è soltanto la forma, mentre la sostanza rimane intatta, allo stesso modo di quando togliamo un tizzone incandescente dalla legna che arde nel camino e la sostanza del fuoco resta piena sia nel tizzone che nella legna… San Tommaso d'Aquino (al quale, una volta completato il trattato di cristologia Commento al Simbolo, apparve Gesù che gli disse: "Tommaso, hai parlato bene di me") non esitò a scrivere: "Credo a quello che ha detto il Figlio di Dio: niente di più vero di questa parola della Verità".

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 17 di maggio 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

ATTORI E SPETTATORI. NON CI SONO SCUSE; CIASCUNO DI NOI HA UNA MISSIONE, CHE NON È PREROGATIVA DEI LAUREATI IN TEOLOGIA

di Francesco Bernardini

Due premesse, due antefatti, anzitutto. La prima: mi raccontava Diego Vanni di aver parlato con una persona la quale, relativamente al Circolo Ragionar cattolico, gli ha detto le seguenti frasi: «Ma voi chi Vi credete di essere per contestare le omelie dei preti?! Non siete mica laureati in teologia!» e ancora: «Ma di quale missione vi sentiti investiti?! Vi sentite davvero investiti di una missione?!» e infine: «Ma non vi rendete conto che non smuovete l’opinione di una mosca, che non convertite nessuno?!». La seconda: parlavo (anzi: chattavo su Facebook) domenica 15 aprile, con l’amica Giuliana e cercavo di spiegarle l’attuale crisi della Fede, accennando al fatto che non ce ne rendiamo perfettamente conto perché ci siamo immersi fino al collo, siamo cioè come quello che si trova nel mezzo di una foresta ed ovviamente non può capire quanto sia vasta la medesima. Cercavo di spiegare all’amica il tentativo in corso di trasformare la Chiesa Cattolica quale succursale di rito cattolico della più ampia chiesa universale (volutamente minuscolo) omnicomprensiva e indifferenziata. Chiesa universale che può fare a meno di Cristo, dei Sacramenti in generale e dell’Eucarestia in particolare ma che, pur di salvaguardare la sua vocazione mondialista, è disposta ad accettare anche Cristo, Sacramenti etc… purché non si pretenda da parte di qualcuno di considerarLi indispensabili per l’uomo e per la sua salvezza. Tutto, ovviamente, fatto in nome della pace universale tra le religioni, della libertà religiosa e della supremazia delle coscienze sulla Verità. Lungo preambolo per chiarire la drammaticità dell’argomento soprattutto se, come ho detto all’amica, probabilmente stiamo vivendo l’ultima e definitiva battaglia. Giuliana mi ha posto allora la domanda che (assieme alle domande – retoriche – che l’uomo di Guasticce ha posto a Diego Vanni) mi ha spronato a scrivere queste righe: «Francesco, ma noi siamo attori o spettatori in questo dramma?». La mia risposta ovviamente è stata: «Attori, attori, Giuliana, io e te, tutti noi, anche chi non lo sa, è attore perché a nessuno è permesso di far finta di niente, chi tace, chi fa finta di non vedere è attore, nel campo che io ritengo sbagliato, ma è attore». Da cattolici siamo attori perché siamo stati battezzati e confermati nella Fede con la Cresima, abbiamo, cioè, tutte le carte in regola (tutte le armi), nessuna esclusa, per combattere questa battaglia; non ci è permesso di rimandare a domani. A quando?! Aspettiamo?! Cosa ?! Gesù ci ha detto di essere luce del mondo, sale della terra, lievito nella farina etc… e l’ha detto a tutti noi, battezzati e cresimati, e non ai soli sacerdoti o ai soli laureati in teologia, come invece vorrebbe l’uomo di Guasticce che ha parlato con Diego – peraltro non si capisce perché per criticare uno sfondone madornale occorra un titolo accademico. Bah! E ci ha anche avvertiti, Lui, di come ci tratterà se verremmo meno al compito affidatoci: essere buttai via, lontani dalla Sua Presenza Beatifica per l’eternità! Non è una bella prospettiva! Quanto detto, capite bene, è “provocatorio” e irriducibilmente contrario alla mentalità dominante che tende a fare sì che tutto quello che turba l’assordante silenzio con cui si vivono le vicende riguardanti la Fede venga messo al bando. Assordante silenzio che qualche volta deriva dalla completa indifferenza (ed è il caso migliore) e qualche volta dalla presunzione di poter fare da soli senza l’aiuto promesso da Lui ed altre volte ancora dal non volersi far coinvolgere in “battaglie” che sembrano di retroguardia e che sicuramente non ottengono il consenso della gente. Ci siamo dimenticati che Gesù non aveva il consenso della gente, aveva contro il potere costituito e non si nascondeva dietro facili discorsi melensi e che anche a noi non ha promesso, come persone che hanno scelto la Sua Sequela, carriere politiche o ecclesiastiche, anzi… ha promesso discriminazioni, persecuzioni (non solo fisiche), denunce all’autorità costituita, etc …, ma anche gioia immensa, la vita eterna in Sua Compagnia. E’ suquesta scommessa che fondiamo il nostro impegno. E con questo rispondo all’ultima obiezione del nostro compaesano: «Ma non vi rendete conto che non smuovete l’opinione di una mosca, che non convertite nessuno?!». E’ nostro dovere esserci; testimoniare Cristo, testimoniare la Verità, che, appunto, è scomoda; porta discriminazioni e persecuzioni e solo raramente consenso. Non smuoviamo l’opinione di una mosca?! Non è nostro compito; siamo dei meri lavoratori nella vigna del Signore, il protagonista è Lui. Lui decide se e quando smuovere l’opinione della mosca, se e quando palesarSi e convertire. Non è certo nostro compito convertire! E’ lo Spirito Santo che converte, non certo noi. Ma questo non ci esime dal lavorare, a testimonianza Sua. Il fatto che sia lo Spirito Santo a convertire e non noi, non ci legittima a starcene con le mani in mano. Ciò detto, quali sono i campi su cui combattere la Buona Battaglia?! Qui ognuno deve fare le proprie scelte, anche a seconda della proprie capacità (carismi), ed esperienze. Potrei citare alcuni dei campi possibili. Il campo immenso e fecondo del recupero e della valorizzazione della Tradizione, campo che va dalla riscoperta della Tradizione nella Liturgia a quello della riaffermazione dei dogmi bimillenari della Chiesa Cattolica sia in campo teologico che morale ed etico.

Nel campo liturgico, personalmente penso, ma è una mia idea, che la rivalorizzazione della Sacra Liturgia Tradizionale (mi riferisco alla riscoperta della Messa Vetus Ordo detta anche Messa in latino e a tutto quello che ne segue) sia la cosa più importante per cui darsi da fare, la riscoperta della bellezza della Fede Cattolica nasce anche dalla rivitalizzazione delle Verità Liturgiche. La riscoperta della liturgia antica non solo avvicina l’anima alla bellezza delle cose sacre ma, per la sua estrema solennità, in contrasto con la sciatteria delle moderne liturgie (sciatteria molto spessa voluta), rende evidente testimonianza alle Verità di Fede che la Liturgia esprime (Lex Orandi Lex Credendi). L’amore e l’assoluta aderenza delle liturgie eucaristiche al Canone prescritto, rende testimonianza cattolica alla presenza di Gesù tra noi, presenza nelle Sacre Specie del Suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità, testimonianza che è universale perché identica a Guasticce, comea Roma come a Berlino o a New York. Questo ovviamente in contrasto con le liturgie che siamo abituati a seguire, che non solo cambiano per la lingua ma cambiano anche in funzione del celebrante; ognuno ci mette del proprio perché si ritiene autorizzato a farlo e nessuno prende provvedimenti! Questo chiaramente nel disprezzo dei Sacri Canoni e anche della Fede della gente comune che si aspetterebbe una celebrazione seria e non una pagliacciata a seconda dei gusti personali del celebrante. Discorso a parte merita lo scempio della Musica Sacra troppo spesso trasformata in musical, che si compie tra l’indifferenza delle gerarchie ecclesiastiche, che prendono provvedimenti ma solo contro chi certe cose ha il coraggio di dirle.

Altro campo su cui si richiede impegno da parte di tutti è quello della difesa delle Verità della Fede, che ormai da decenni sono sotto attacco e continuamente smantellate tra l’indifferenza della gente. Qui la tattica di chi combatte la Fede Cattolica è molto subdola e ha ormai ottenuto tante di quelle vittorie tra la gente comune che umanamente parlando sarà impossibile ripristinare la Verità (poi, per fortuna c’è Gesù, c’è Maria Santissima Se ci mettono le mani Loro…). La tattica usata da questi nemici è quella di aggirare l’ostacolo, di non negare le Verità espressamente, ma insinuare nel pensiero della gente una verità alternativa o quantomeno una verità meno assoluta. Si dice che sicuramente è vero il dogma X ma è anche vero il dogma Y che è in contrasto con X, per cui il povero fedele piano piano non sa più se è vero X o Y e tra i due, di solito, sceglie quello che è meno impegnativo per la sua vita spirituale e/o morale. Due esempi: il primo l’assoluta veridicità dei Vangeli in quanto ispirati direttamente da Dio. Nessuno dirà mai che i Vangeli sono una storiella, almeno nessuna persona seria lo dirà mai, ma si dirà che il passo tale deve essere interpretato, che il miracolo tal altro non è possibile perché contro le leggi della natura, come se la natura non fosse creatura di Dio, che l’affermazione di Cristo in quel passo era solo per i fedeli del tempo e non per noi oggi, come se Gesù parlasse solo ad alcuni e non a tutti, etc… Piano piano nessuno, o solo pochi, prenderanno i Vangeli sul serio ma se ne serviranno solo per i propri scopi personali, i Vangeli saranno ridotti ad un pezzo di gomma da tirare ognuno dalla sua parte. Il secondo esempio è quello della condanna da parte della Chiesa Cattolica dell’aborto, ribadita continuamente; anche qui: «Sì l’aborto è sofferenza, io non lo farei mai, ma in certe occasioni… se proprio non c’è altro sistema… E poi non si può giudicare (classico slogan usato perfar digerire in silenzio certe porcate)! Si finisce con la situazione attuale in cui ormai, in un Paese che si definisce cattolico, l’aborto è usato come contraccettivo. Nessuno ha spiegato ai nostri soloni che non si tratta di condannare chi abortisce, non spetta a noi farlo, ma di condannare l’aborto sic et simpliciter, senza nessuna remora o tentennamento e la legge che lo permette, poi saremo i primi a darci da fare per cercare di prevenire, aiutare, confortare e sostenere le situazioni difficili e tutto ciò per amore della Vita.

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 17 di maggio 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

DOMENICA DI PASQUA. L’EVENTO PASQUALE, LA CERTEZZA DELLA RISURREZIONE COME EVENTO SUL QUALE LA CHIESA STA O CADE

di Diego Vanni

«Scimus Christum surrexisse a mortuis vere» recita la Sequenza pasquale. Noi sappiamo con certezza che Cristo è risorto dai morti. O… dovremmo saperlo con certezza! Eh sì! Perché la moderna scienza esegetica ne ha perfino per l’evento della Resurrezione, evento – come vedremo – sul quale la Chiesa sta o cade. Prendo le mosse per questo articolo da una mia (vivace) conversazione, avvenuta anni fa, con un sacerdote livornese a cui sono molto affezionato e che, tuttavia, quella volta prese una sonora cantonata. Riporto questo episodio ovviamente senza menzionare il nome del sacerdote, per il rapporto che mi lega e lui e per evitare personalismi che francamente non mi entusiasmano. La discussione avuta con lui, però, sul piano oggettivo merita di essere riportata perché emblematica (delle derive) della “scienza esegetica” moderna. La quale, mettendo in discussione, o addirittura negando la storicità dei Vangeli e della Risurrezione di Cristo, finisce per scardinare tutta l’architettura teologica del cattolicesimo, riducendolo a dottrina che si fonda su di una “storiella”, alla quale si è liberi o meno di credere, nella misura in cui essa non ha basi oggettive e razionali.  

Bendetto XVI docet Consapevole di questa pericolosa esegesi, che distingue il “Cristo della fede” dal “Cristo della storia”, nell’aprile 2009 Papa Benedetto XVI volle far chiarezza una volta per tutte (anzi due): la domenica di Pasqua e poi il mercoledì successivo, nell’ambito dell’udienza generale in piazza San Pietro. Benedetto XVI ha insistito sul fatto che la risurrezione di Gesù «non è una teoria, ma una realtà storica, non è un mito né un sogno, non è una visione né un’utopia, non è una favola, ma un evento unico ed irripetibile». Nella Catechesi del mercoledì dopo Pasqua, Benedetto XVI disse: «È pertanto fondamentale per la nostra fede e per la nostra testimonianza cristiana proclamare la risurrezione di Gesù di Nazareth come evento reale, storico, attestato da molti e autorevoli testimoni. Lo affermiamo con forza perché, anche in questi nostri tempi, non manca chi cerca di negarne la storicità, riducendo il racconto evangelico a un mito, ad una “visione” degli Apostoli, riprendendo e presentando vecchie e già consumate teorie come nuove e scientifiche». Benedetto XVI insiste sulla Risurrezione come «dato storico». Scrive il Papa nel Messaggio della domenica di Pasqua: «In effetti, una delle domande che più angustiano l’esistenza dell’uomo è proprio questa: che cosa c’è dopo la morte? A quest’enigma la solennità odierna ci permette di rispondere che la morte non ha l’ultima parola, perché a trionfare alla fine è la Vita. E questa nostra certezza non si fonda su semplici ragionamenti umani, bensì su uno storico dato di fede (ma anche storico, nda): Gesù Cristo, crocifisso e sepolto, è risorto con il suo corpo glorioso. Gesù è risorto perché anche noi, credendo in Lui, possiamo avere la vita eterna». Del resto, fa notare giustamente il Pontefice «stiamo parlando del cuore del messaggio evangelico», citando san Paolo, che dice: «Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede» (1Cor 15, 14). E aggiunge, giustamente: «Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini» (1Cor 15, 19). Un ragionamento che dovrebbe essere assai scontato, ma che purtroppo, nel desolante panorama di confusione dottrinale, non risulta tale. La Risurrezione, pertanto, ribadisce il Papa «non è una teoria, ma una realtà storica rivelata dall’Uomo Gesù Cristo… non è un mito né un sogno, non è una visione né un’utopia, non è una favola, ma un evento unico ed irripetibile: Gesù di Nazareth, figlio di Maria, che al tramonto del venerdì è stato deposto dalla croce e sepolto, ha lasciato vittorioso la tomba», ribadendo la prova dell’episodio dei discepoli di Emmaus. Ma il Pontefice non si ferma qui e insiste sulla centralità dell’evento-Risurrezione, spiegando come «è un fatto che se Cristo non fosse risorto, il “vuoto” sarebbe destinato ad avere il sopravvento. Se togliamo Cristo e la sua risurrezione, non c’è scampo per l’uomo e ogni sua speranza rimane un’illusione».

Cosa significa negare la storicità della Risurrezione Sostenere dunque che la Risurrezione non è un fatto storico significa dunque questo: il sopravvento del vuoto e la destituzione di fondamento dell’intera architettura della teologia cattolica. Sostenere ciò significa: da un lato screditare l’intera Sacra Scrittura come fonte storica (la quale mentendo sulla Risurrezione come fatto storico potrebbe benissimo, stanti così le cose, mentire su qualsiasi altro fatto in essa riportato, spacciandolo come “storico”) e dall’altro minare le fondamenta razionali del cattolicesimo, facendo decadere di conseguenza anche tutto l’impianto teologico che su di esse si fonda. Perché è vero che la scienza teologica trascende la ragione, ma è altrettanto vero che essa non può prescindere dalla ragione, pena il ridurre il cattolicesimo a un sistema talmente astratto, indefinito ed indimostrabile da risultare alieno alla vita dell’uomo. Si capisce benissimo, allora, come con un metodo esegetico, come quello che distingue il Cristo storico dal Cristo della fede, si possa distruggere l’intero cattolicesimo. Non ci rimane che pregare affinché il momento attuale passi velocemente e si possa tornare presto all’ortodossia! Possano queste fesserie morire una volta per tutte e, esse sì, non risorgere mai più.

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 16 di aprile 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)