venerdì 12 ottobre 2012

L’ANAGRAMMA DELLA VERITÁ E PONZIO PILATO

di Diego Vanni

L’episodio è narrato da San Giovanni nel suo Vangelo. Pilato, durante il suo interrogatorio a Gesù, chiede a Questi: «Cos’è la verità?». Gesù non rispose nulla. Orbene, forse alcuni di voi già sono a conoscenza della curiosità relativa all’anagramma di questa domanda, ma, per chi non lo fosse, giova, in prima battuta, riportare i fatti. Don Anacleto Bendazzi, sacerdote ed enigmista italiano morto nell’82, rilevò appunto che facendo l’anagramma di questa domanda («Quid est veritas?» dato che Ponzio Pilato era prefetto romano della Giudea e dunque parlava latino) si trova la risposta alla medesima. Scombinando e ricombinando dunque le lettere del «Quid est veritas?» viene fuori la risposta «Est vir qui adest», ossia «E’ l’uomo qui davanti a te». Cosa è dunque la verità? L’uomo (o meglio il Dio-uomo) che stava dinanzi a Pilato al momento della domanda e a al quale era rivolta la domanda. Ciò detto, alcune riflessioni. La prima: certamente questa non è una prova schiacciante dell’esistenza di Dio o della natura divina del Cristo, paragonabile magari alle prove di San Tommaso D’Aquino, ma certamente è una curiosità che dà da pensare, soprattutto se rapportata al silenzio di Cristo. E qui vengo alla seconda riflessione. Perché Gesù non risponde a Pilato? Perché non gli dà la risposta ad una delle domande fondamentali dell’esistenza, ossia alla domanda inerente la natura della verità? Perché tace? Perché tace nei confronti di colui che, tutto sommato, ha provato fino alla fine a salvarlo? Probabilmente proprio in ragione di quell’anagramma. Non che, beninteso, Gesù volesse che la mente di Pilato si mettesse (e per giunta in un momento tanto concitato) ad anagrammare la sua stessa domanda, sarebbe assurdo, ma verosimilmente Gesù potrebbe aver pensato una cosa del genere: «Se non hai ancora capito, anche dopo tutti i miracoli che ho compiuto, che proprio Io, che ti sto dinanzi, sono la verità, che senso ha risponderti?!». E’ questa, credo, la risposta esegetica che più si avvicina al vero, non volendo asserire che Cristo non voglia testimoniare la verità che è Lui stesso. Quante volte anche noi ci dimostriamo incapaci di riconoscere in Lui la verità che ci rende liberi! Quante volte, anche pur sapendo (in teoria) che Lui è la verità, non riusciamo a convincerci di ciò nella pratica! La verità che rende liberi! E invece preferiamo rimanere schiavi, anziché liberi. Schiavi del Demonio, schiavi del peccato, schiavi delle nostre passioni meschine! Eh sì! Perché è così che concepiamo la libertà, oggi: il poter fare arbitrariamente tutto ciò che si vuole (seppur entro certi limiti, magari legali), prescindendo da ogni vincolo morale, prescindendo dalla Legge divina e dal Magistero della Santa Chiesa! Ma è veramente questo che ci rende liberi?! O non è piuttosto un qualcosa che ci rende schiavi, di noi stessi in primis?! Ecco dunque che anche noi, pur sapendo (in teoria) che Gesù Cristo è la Verità, nella pratica non Lo consideriamo tale, non Lo reputiamo la Verità che ci fa liberi, ma piuttosto il promulgatore di una legge morale insostenibile che ci fa schiavi! Quante volte, infatti, si sentono (sedicenti) cattolici criticare la stessa morale cattolica, reputata una palla al piede che inibisce la nostra stessa umanità, il nostro stesso essere uomini! Siamo dunque meglio di Pilato?! Proprio no, anzi… Spesse volte, infatti, non vogliamo proprio capire che Lui è la Verità che rende liberi e che la sua legge morale è il mezzo per conseguire questa libertà! Il mero sapere (a livello conoscitivo - manualistico) che Cristo è la Verità, se poi non c’è, nella pratica, una traduzione concreta di questa realtà non serve a niente.

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 6 di aprile 2011 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

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