domenica 14 ottobre 2012

HO RICHIAMATO IL CARDINAL MARTINI PROPRIO PERCHÉ LO AMAVO

di Alessandro Stucchi

In questi giorni sono stati in molti a chiedermi un’opinione personale sul cardinal Martini, dal momento che io e il mio ormai defunto arcivescovo emerito non sempre siamo andati d’accordo su svariati temi. La domanda, fra queste, che più mi ha colpito è stata quella rivoltami da una giornalista di Radio Marconi, mentre si era in fila per entrare in Duomo: «Come mai un giovane, che probabilmente non ha nemmeno mai conosciuto Martini, si mette in fila un'ora e mezza prima dell’inizio del funerale, per giunta sotto la pioggia, per entrare in Duomo ad assistervi? Cosa ha dunque rappresentato Martini per te?» La giornalista, con ogni probabilità, si aspettava una risposta simile alla maggior parte di quelle date dalla gente intervistata in piazza Duomo, e cioè un elogio delle aperture del cardinale nei confronti delle altre religioni, dei non credenti e del mondo. Io, invece, che non amo l’ipocrisia, nemmeno se essa mi consentisse di conformarmi al modo di pensare comune, ho risposto brevemente e in tutta sincerità ciò che ho sempre pensato: «Si tratta del mio cardinale arcivescovo emerito, un uomo che al pari mio ha sempre amato la Chiesa con tutto se stesso e con tutte le sue forze, e perciò, per quanto molte sue affermazioni e svariati suoi pensieri non siano condivisibili, rendergli omaggio anche a costo di piccoli sacrifici è il minimo che si possa fare». In effetti, su quest’ultimo punto non vi è molto di cui chiacchierare: a fare ciò ci pensa già la solita stampa italiana, disinformata e seminatrice di zizzania. Il cardinal Martini, come già scritto da una firma ben più autorevole di me, il dott. Massimo Introvigne, amava la Chiesa, la amava sinceramente, e tutto ciò che ha sempre dichiarato e che ha destato scalpore tra molti cattolici non costituiva altro se non la terapia che egli si sentiva di proporre. Terapia che, alla luce delle vicende che vedono coinvolta la cattolicità negli ultimi anni, risulta purtroppo sbagliata. Mi è stata rinfacciata da taluni, inoltre, la mia presunta falsità nell'aver partecipato alle sue esequie, dopo averlo sempre criticato quando era in vita, violando così l’imperativo evangelico «Non giudicate gli altri, se non volete voi stessi essere giudicati». Di fronte a tali accuse, io non nego le mie affermazioni sul cardinale; anzi, credo che la cosa migliore da fare sia ribadirle, in nome della stessa carità evangelica: se infatti non avessi amato il mio arcivescovo, lo avrei lasciato libero di proferire sentenze un po’ troppo spinte a destra e a manca, non preoccupandomi per il danno che esse avrebbero potuto portare alla Chiesa stessa (mettendo in chiaro per l’ennesima volta il fatto che egli le pronunciava in buona fede). Invece, proprio per il fatto che lo amavo, in più di un’occasione mi sono sentito in dovere di richiamarlo. Ritengo personalmente quest’ultima essere un’azione migliore di quella portata avanti nei giorni scorsi dalle svariate testate giornalistiche anticlericali e laiciste, le quali, tra le varie aperture compiute da Martini, elogiavano il suo rifiuto dell’accanimento terapeutico, paragonandolo ai casi di Eluana Englaro e Piergiorgio Welby: a parte il fatto che si tratta di casi diversissimi, quanto scelto da Martini è previsto dal codice di diritto canonico. Si impari, dunque, a saper distinguere tra le cose, e a non preoccuparsi soltanto di dover riempire a tutti i costi degli spazi bianchi di giornale. Ricordando, magari, che la scelta di Martini era stata la stessa, sette anni fa, compiuta dal beato Giovanni Paolo II.

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 20 di settembre 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

Nessun commento:

Posta un commento