venerdì 12 ottobre 2012

MEDITAZIONI CATTOLICHE SUL NATALE

di Diego Vanni

Ed eccoci di nuovo qua! Fra luci ed alberi, presepi e Babbo Natale, fra panettoni e case ornate. Non starò qui a ribadire ciò che è già ovvio, ossia che il Natale non è Babbo Natale, non sono le palline dell’albero, il panettone e via dicendo. E’ già ovvio di per sé. Dirò invece qualcosa di meno scontato e - per alcuni - forse di più indigeribile. Il Natale non è la festa della bontà. Il Natale non è la festa di un’idea. «A Natale - recita il detto - siamo tutti più buoni»! Falso! E fuorviante! Il Natale è la festa di un’umanità, di quell’umanità che, guardandosi dentro, non scopre il “lato migliore di sé”, ma la propria miseria, la propria non autosufficienza, la propria incompletezza, la propria inadeguatezza ad autosoddisfare quella sete d’infinito che c’è in ciascuno di noi. Il Natale, così, è la festa di quella umanità che si rende conto del proprio nulla, di quel «senza di Me non potete far nulla», di evangelica memoria (Gv 15, 5). In questo modo, consapevole dellA propria nullità, della propria miseria, della propria intrinseca cattiveria, del proprio egoismo, della propria meschinità, della propria incapacità di amare, questa umanità accoglie a braccia aperte il Dio che si fa uomo, il mistero infinito ed incomprensibile della Grandezza infinita, della Maestà gloriosa, dell’Infinitezza per antonomasia che diviene finitezza, in un corpo umano. Solo così, solamente in questo modo si potrà comprendere il Natale. Solamente con questa disposizione d’animo si può vivere bene il Natale! Noi non siamo buoni, è Gesù stesso a dirlo: «Se dunque voi che siete cattivi…» (Mt 7, 11). Dio ce ne guardi dunque dal sentirci buoni ed altruisti! La convinzione di esser buoni ed altruisti è una seduzione del Demonio, il quale sa bene che, per tenere una persona lontana da Cristo, è necessario farla sentire buona e quindi, fondamentalmente, non bisognosa dell’amore di Dio, né della Redenzione di Cristo! Questa è la tattica sottile ed astuta di Satana! Nel momento in cui mi sento bravo, buono, generoso, altruista e via dicendo, nel momento in cui questo sentirmi bravo, buono, generoso e altruista aumenta progressivamente in me, aumenta anche, altrettanto progressivamente, la mia distanza da Dio, perché «non ne ho più bisogno» o, meglio, credo di non averne. Viceversa, laddove cresce in noi la consapevolezza della nostra finitezza, della nostra cattiveria, del nostro egoismo, della nostra incapacità di amare e di perdonare, della nostra incapacità di donare in maniera veramente libera e gratuita, lì Cristo può agire. L’uomo consapevole di tutto quanto fin ora detto si getta fra le braccia di Gesù Cristo perché avverte insopprimibile il bisogno della sua Presenza, di quella divina presenza che salva e che redime, che giustifica e riempie di senso una vita che altrimenti non l’avrebbe. Consapevole dunque che senza di Lui non può far nulla, l’uomo moderno spalanca il suo cuore al mistero dell’amore più grande. Dante canta tutto questo in maniera mirabile quando parla de «‘l suo fattore» che «non disdegnò di farsi sua fattura» (Canto XXXIII del Paradiso). Veramente «nel ventre tuo si raccese l’amore»! Veramente, a Natale, occorre guardare anche a Maria, a Colei il cui «sì» ha cambiato per sempre la storia dell’umanità. Cerchiamo per una volta di immedesimarci nella bella ragazza di Nazareth, il cui «sì» ha cambiato il mondo! Immaginiamoci questa ragazza adolescente che si vede apparire un arcangelo che le dice: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». «Ecco - prosegue l’angelo - concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Non è semplice accettare senza turbamento questa irruenza di Dio nella nostra vita. Non lo è mai. Men che mai dev’essere stato semplice per Maria la quale, non conoscendo uomo (come risponde all’arcangelo), si espone a dei rischi di non poco conto. La società giudaica, infatti, poteva benissimo lapidarla vedendola incinta, pur non conoscendo uomo. Ma non solo per questo la scelta di Maria, il «sì» di Maria, dev’essere stato tutt’altro che semplice. Se da un lato, infatti, con il suo «sì» la gloriosa Madre di Dio si è accollata il rischio della lapidazione, dall’altro lato, Ella senz’altro sapeva a cosa andava incontro con quel «sì». Quante volte, infatti, avrà sentito in sinagoga quel fondamentale capitolo (il 53esimo) di Isaia?! Quel capitolo dove si parla proprio di Colui che da Lei sarebbe nato?! E il racconto (o meglio, la profezia) di Isaia è tutt’altro che incoraggiante per una madre! Si parla infatti del Dio uomo che «non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto». Si parla di Uno che sarà «disprezzato e reietto dagli uomini», di un «uomo dei dolori che ben conosce il patire», di uno che sarà «trafitto per i nostri delitti», «schiacciato per le nostre iniquità»! Si parla di Uno che «maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca», che «era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori»! Isaia parla di Uno che «con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo», «eliminato dalla terra dei viventi». Ebbene, Maria, l’Augustissima Madre di Dio, sapeva che quell’uomo sarebbe ciò che sarebbe uscito dal suo grembo. Non è facile, potendo scegliere (come Maria), dire un «sì» dal quale parte una gravidanza che porterà alla luce un figlio che la madre sa già che morirà prima di lei, che sarà un «uomo dei dolori che ben conosce il patire», che «non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto», che sarà «disprezzato e reietto dagli uomini», che «maltrattato» si lascerà umiliare, che sarà «come agnello condotto al macello,come pecora muta di fronte ai suoi tosatori». Non è facile dire questo «sì» alla nascita di un figlio che, già in partenza si sa che «con oppressione e ingiusta sentenza» sarà «tolto di mezzo», «eliminato dalla terra dei viventi». Ma Maria l’ha fatto! E questo gesto d’amore di Maria è il più grande, dopo quello del suo stesso Figlio! Maria sapeva, infatti, che, sempre per citare Isaia, il «castigo» di Colui che «si è caricato delle nostre sofferenze», che «si è addossato i nostri dolori» è un «castigo che ci dà salvezza» e che «per le sue piaghe noi siamo stati guariti»! E’ grazie a quel «sì», a quel gesto d’amore così grande ed incondizionato, così difficile e carico di sofferenza che Dio in Persona si è fatto uomo ed è entrato nelle nostre vite! Pensare al Natale, dunque, è pensare anche a Maria, a quel suo gesto d’amore che ha cambiato la vita di ognuno di noi! Ed allora ben fa il cattolicissimo Dante a cantare, nel XXXIII° del Paradiso, «Donna, se’ tanto grande e tanto vali / che qual vuol grazia ed a te non ricorre / sua disianza vuol volar senz’ali»! Pio XII, poi, con l’enciclica Munificentissimus Deus, con la quale ha solennemente proclamato il dogma dell’Assunzione al cielo in anima e corpo di Maria, ben spiega come quel grande gesto d’amore le abbia ottenuto la grazia di essere «preservata dalla corruzione del sepolcro». Dice Papa Pio XII: «In tal modo l'augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù Cristo fin da tutta l'eternità “con uno stesso decreto” di predestinazione, immacolata nella sua concezione, Vergine illibata nella sua divina maternità, generosa Socia del divino Redentore, che ha riportato un pieno trionfo sul peccato e sulle sue conseguenze, alla fine, come supremo coronamento dei suoi privilegi, ottenne di essere preservata dalla corruzione del sepolcro, e, vinta la morte, come già il suo Figlio, di essere innalzata in anima e corpo alla gloria del cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli». E se è vero, com’è vero, che a Natale occorre guardare a Maria come modello di santità, è altrettanto vero che il nostro sguardo d’amore deve avere ad oggetto innanzitutto Colui che da Maria è nato. E’ il mistero dell’Incarnazione! Il mistero di un Dio che, lungi dal rimanere rinchiuso nel suo cielo, si fa uomo, prende le sembianze umane. Questo più di ogni altra cosa deve rendere il nostro cuore ardente d’amore per la seconda Persona della Trinità! Il pensare alla smisurata immensità dell’amore divino che rende il maestoso ed eterno Dio, il Re immortale dei secoli e Signore del tempo e della storia, un semplice bambino, che nasce, al freddo, in un’umile mangiatoia. Quale amore più grande di questo si può immaginare?! Dante, da buon cattolico, (e mi perdonerete se cito ancora il XXXIII° canto del Paradiso) canta con versi di soave bellezza questa realtà, questo suo approccio col mistero dell’incarnazione: «Quella circulazion che sì concetta / pareva in te come lume reflesso / da li occhi miei alquanto circunspetta / dentro da sé, del suo colore stesso / mi parve pinta de la nostra effige / per che ‘l mio viso in lei tutto era messo». Ecco: «‘l mio viso in lei tutto era messo»! Fermiamoci! Contempliamo, almeno per una volta, questo Natale, questo grande mistero d’amore e di follia al contempo! Contempliamo il mistero del Dio/uomo, mettiamoci innanzi al tabernacolo durante questo Natale, nel silenzio, a meditare questa “pazzia” di Dio. E alla fine anche noi, come Dante, esclameremo: «ma non eran da ciò le proprie penne» perché comprendere il mistero non si può, ma amare il divino Protagonista di quel mistero, sì! «Oh abbondante grazia ond’io presunsi / ficcar lo viso per la luce etterna»!

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 2 di dicembre 2010 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

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