domenica 14 ottobre 2012

LE ASSURDITÁ DEL CANTO DA MESSA ACCOGLIENZA ‘80

di Diego Vanni

«Ma come si fa?!». La prima domanda, che sorge spontanea, di fronte a testi come quello che sta a lato di questo articolo, è proprio questa: «Ma come si fa a concepire testi così assurdi?!». La seconda; «Ma come fanno i preti ad accettare che simili sproloqui dissennati vengano usati come materiale liturgico, come canti da Messa?!». Inizio con questo canto questa mia nuova rubrica che, oltre a farmi piangere (perché è la Messa – quindi una cosa seria, la più seria – ad essere rovinata), tutto sommato mi farà anche ridere, perché di ridicolo ce n’è, eccome! Prima di scendere nel merito dell’analisi di questo canto, tuttavia, mi è necessario fare una premessa, che varrà tanto per quanto sto scrivendo adesso, tanto per quanto scriverò nei prossimi mesi. La seguente; non ce l’ho con chi canta questo genere di canti; tutt’altro! Spero anzi che questa rubrica possa far aprire gli occhi a queste persone e che queste possano decisamente cambiare repertorio. Il tutto, beninteso, non perché io sia un teologo o un liturgista, perché per confutare l’assurdità di questa roba non ci vuole certo di essere un teologo o un liturgista, ma una persona cattolica di buon senso. Spero davvero che chi canta questo genere di canti possa, leggendo queste righe, rendersi conto del nulla che canta e cambiare. Ogni persona intelligente si rimette in discussione, ogni tanto! O, laddove questo non avvenisse, spero almeno che serva ad aprire gli occhi ai preti: cari sacerdoti, la Messa è una vostra responsabilità – non certo mia che non sono nessuno – occhio! Al Padreterno dovrete rendere conto di tutte le boiate che, se non avete  voluto, quantomeno, avete permesso, durante la rinnovazione del Sacrificio del Calvario, durante l’augustissima liturgia eucaristica. Non permettete che durante la celebrazione della Messa, nella liturgia che deve cantare Colui dal quale ha origine il tutto si canti il nulla! Fatelo per voi stessi, pensando a quando ne dovrete rendere conto a Dio, fatelo per i vostri fedeli, per la loro edificazione. E se deciderete di continuare su questa linea – ma con chi volete il pugno duro lo fate eccome – non meravigliatevi se poi la gente va alla Messa di Pio V (o tridentina)! Ciò doverosamente premesso, scendiamo nel merito dell’analisi di questo canto.

«Sto cercando una storia che sia vera, per donare un vero senso alla mia vita. Sto cercando nuovi spazi per seminare i miei passi in libertà. Non cercare lontano da te stesso e sperare di trovare un uomo vero, apri gli occhi, ho posto in te la verità: io ti guiderò»

«Una storia che sia vera, per donare un vero senso alla mia vita». Ok! Dunque anche una semplice amicizia, un matrimonio! Storie «vere», indubbiamente! Ma Dio?! Da notare che non se ne fa mai menzione del suo nome, almeno esplicitamente, in tutto il canto Eppure sarebbe, è, un canto da Messa! «Nuovi spazi, per seminare i miei passi in libertà». E’ una preghiera per domandare a Dio un giardino?! Sarebbe – ed è tutto dire – la più logica delle interpretazione, ma, verosimilmente, è semplicemente retorica del nulla. «Non cercare lontano da te stesso e sperare di trovare un uomo vero, apri gli occhi, ho posto in te la verità: io ti guiderò». Qui, se non ci siamo già, si rasenta, comunque, l’eresia! «Non cercare lontano da te stesso»! E il «Se qualcuno vuol venire dietro a Me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Lc 9, 23) che fine ha fatto?! E l’invito di San Paolo a «deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici»?! No… Qui si dice: «Non cercare lontano da te stesso»! Il prosieguo, poi, dovrebbe sempre, a rigor di logica, essere legato all’avverbio di negazione; dunque; «non sperare di trovare un uomo vero». Francamente, un passo di difficile interpretazione, ma, ad ogni modo, l’uomo vero c’è, eccome! E’ il Dio-Uomo, il Dio fatto uomo, Gesù Cristo, prototipo di ogni uomo vero, ma… figuriamoci se questo canto lo nomina! Infine: «Ho posto in te la verità», che si presume essere rivolto sempre a chi ascolta il canto, come quel «non cercare lontano da te stesso». Dunque, la verità va cercata in sé stessi, dentro sé stessi. Quel Gesù che ha detto: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6) probabilmente era uno dei tanti semplici uomini che ha cercato in sé la verità, facendo suo l’invito del canto. Va da sé che chiunque può fare altrettanto e dunque Gesù Cristo sarebbe ben lungi dall’essere la – articolo determinativo – verità!

«Sono mille e mille voci che si uniscono al tuo canto; oltre il tempo questa festa ci unirà, noi cerchiamo il tuo volto di padre e di fratello questa vita che ci hai dato è una festa accanto a te oltre il tempo questa festa ci unirà. Sono mille e mille voci che si uniscono al tuo canto; oltre il tempo questa festa ci unirà, noi cerchiamo il tuo volto di padre e di fratello se tu guidi questi passi che facciamo in nome tuo oltre il tempo questa festa ci unirà»

«Sono mille e mille voci che si uniscono al tuo canto». Dovrebbe avere un senso?! Voci di chi che si uniscono al canto di chi per chi? Tralasciamo! «Noi cerchiamo il tuo volto di padre e di fratello»! Sì… e magari anche di suocera e nuora al contempo! Il ridicolo totale! La logica spicciola ci insegna che non si può essere padri e fratelli al contempo: o si è padri o si è fratelli di una persona. Ma… tant’è! Tanto peggio per la logica e tutto il suo sistema! Peraltro, se fossimo fratelli di Dio, saremmo Dio a nostra volta e vai col patatrac logico e teologico. Infine; «oltre il tempo questa festa ci unirà». Quale «festa»?! Ah già… la Messa! La Messa è una festa – dimenticavo. Sottile teologia eucaristica, questa!

Sempre uguali dipanano i miei giorni, sempre nuovo io mi scopro ogni domani; tengo viva la speranza che il mio dono un giorno fiorirà. Conserva pure le tue mani perché puro possa essere il tuo dono; la freschezza del tuo cuore è la forza della mia presenza in te.

«Sempre uguali dipanano i miei giorni», ma «sempre nuovo io mi scopro ogni domani». Buon per lui! Come farà?! Da notare, poi, che la forza della presenza di Dio – desumo – in noi è «la freschezza del tuo (nostro) cuore». L’ultima chicca teologico-dottrinale di questo canto!

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 21 di ottobre 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

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