domenica 14 ottobre 2012

NECESSITÁ DI UN RITORNO AD UNA SANA OGGETTIVITÁ

di Diego Vanni

«Parla di lui!»; «No, parla di lei!». «Si riferisce a quella Parrocchia!»; «No, a quell’altra!». In questo meccanismo (parzialmente) perverso siamo intrappolati. Si scrivono articoli, altri li leggono, ma, spesso, anziché scendere in una valutazione di merito, si preferisce scadere nel pettegolezzo, cercando di fare congetture sulle intenzioni del redattore dell’articolo; cercando di capire se questi stesse parlando di Tizio piuttosto che di Caio, a discapito di una sana oggettività alla quale, tuttavia, è doveroso ritornare. Quanto fin ora scritto per due ragioni. Una generale, di approccio agli articoli; alle tesi. L’altra, a carattere più specifico ed inerente gli articoli scritti su questo giornale. Anzitutto, appunto, chi scrive è convinto che l’approccio debba essere sempre e comunque oggettivo; nei confronti di qualunque scritto. Si tratti di un articolo; di una tesi; di un’idea, l’approccio giusto è il seguente: porre attenzione a ciò che è scritto (valutarne la ragionevolezza e/o – per questioni religiose, è il nostro caso – la coerenza con la Dottrina della Fede), non giudicare in base chi l’ha scritto o fare congetture su eventuali persone fisiche cui possa riferirsi quanto scritto. Pertanto, sbaglia tanto chi, nell’apprestarsi a leggere un articolo, dica fra sé e sé, per esempio; «L’ha scritto Diego Vanni; saranno sicuramente cretinate», quanto chi dica: «Parla di Tizio, oh mio Dio, stanno attaccando Tizio»; «Parla di Caio, oh mio Dio, stanno attaccando Caio» e pertanto veicoli la propria attenzione su questioni meramente personalistiche. Non è, questo, un atteggiamento giusto, né, men che mai, maturo. Né è l’approccio – e qui vengo alla seconda ragione – che si intende dare agli articolo scritti su queste pagine. Quanto ivi scritto, talvolta magari con un po’ di “peperoncino”, mira a mettere in rilievo alcune questioni, alcuni problemi, prescindendo completamente dai soggetti coinvolti in tali questioni, in tali problemi. Quantomeno… prescindendo completamente dalla volontà di fare processi alle persone, cosa che lasciamo fare a chi ha più autorevolezza, autorità e giurisdizione di noi. Dunque, fare processi alle persone, no. Porre in rilievo, questioni, problemi, sì. E più che legittimo! E ancor più, per dovere di carità e di non tiepidezza – si legga l’Apocalisse a tal proposito – doveroso. Sennonché, la storia (di queste zone, quantomeno) ci insegna – mi vien da ridere solo a scriverlo - che il problema non è il problema, ma colui che indica il problema, colui che lo pone alla pubblica attenzione. C’è una strana – e, a mio avviso, non molto evangelica – attitudine a polemizzare con la polemica in sé, prescindendo dal fatto che essa sia giusta o sbagliata, che essa abbia o meno ragion d’essere. Il problema è sempre – questa la strana attitudine – “il dito che indica la luna”. Così, se io scrivo un articolo polemico, per esempio, sulle posizioni dottrinali eterodosse di un tal gruppo ecclesiale, il problema non sono le posizioni dottrinali eterodosse di quel gruppo, ma il fatto che io abbia “attaccato” tale gruppo, il fatto che io abbia “polemizzato”. Il problema è “il dito che indica la luna”; il cattivissimo articolista che polemizza – si dirà, appunto, erroneamente – con quel gruppo, quando, in realtà, la polemica è sulle posizioni dottrinali eterodosse. Il problema, dunque, è “il dito che indica la luna”; la polemica per sua stessa natura, prescindendo dal fatto che essa sia giusta o sbagliata, che essa abbia o meno ragion d’essere. Si chiedano (i sostenitori della tesi per cui il problema non è il problema in sé, ma chi lo pone alla pubblica attenzione): questo atteggiamento è evangelico?! Scrivevo, nel numero precedente,a proposito del concetto di «divisione» (legatissimo alla questione della polemica perché «Chi fa polemica, fa divisione!»): «Di questo passo, assolutizzando a tal punto questo concetto della divisione finirete con l’accusare anche Gesù Cristo. Quello stesso Nostro Signore che ha detto: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me” (Mt 10, 34 – 37)». Gesù non polemizzava mai?! Era un buonista che disdegnava la polemica sempre e comunque?! O era uno che ne faceva, anche di roventi?! Scribi, farisei, dottori della Legge… Che atteggiamento aveva Gesù nei loro confronti?! Orbene; certamente chi scrive su queste pagine (io ed altri) non ha un briciolo dell’autorità di Nostro Signore, senz’altro, ma l’atteggiamento di Questi, non ci pare essere apolemico a priori. Pertanto, è quantomai necessario tornare ad una sana oggettività; a porre attenzione a ciò che è scritto, non a chi lo ha scritto o a chi è diretto. Così, se il Demonio dicesse che fumare fa male – non credo il Demonio possa dire verità teologiche, ma questo forse sì – c’è poco da fare; avrebbe ragione! Sic et simpliciter! Raccontavo, nel numero dello scorso novembre, che, in occasione della Giornata della Carità una donna era venuta da me a chiedermi: «Ma è una cosa organizzata dalla Parrocchia?!» e ancora: «Ma il Parroco sa di questa iniziativa?!». Chiaro il messaggio (ed il bigottismo): se è una cosa organizzata dalla Parrocchia allora è un’iniziativa giusta a priori, se è organizzata dal Circolo Ragionar cattolico – come era – allora è sbagliata a prescindere. Scrivevo in quell’articolo: «Ci si domanda; ma in un’epoca in cui non c’è nemmeno più bisogno del nihil obstat e dell’imprimatur per i libri a carattere teologico e dottrinale, ci dev’essere bisogno del nihil obstat e dell’imprimatur per una raccolta alimentare a favore dei più poveri?! Mi sembra, come detto, un insulto all’intelligenza, prima ancora che alla fede. Orbene; che il gesto debba essere caratterizzato cattolicamente sono perfettamente d’accordo (e infatti lo era), ma che si degeneri in questo bigottismo, assolutamente no! Il gesto d’amore era «caratterizzato cattolicamente»; era «fatto per Cristo, con Cristo ed in Cristo» e «nella Chiesa Cattolica». Tanto basta, eccome se basta! Tutto il resto è sterile partigianeria, provincialismo che non porta da nessuna parte». Lo ribadisco. Ho voluto riportare questo episodio nuovamente perché particolarmente indicativo di quanto sostenuto in questo articolo: oggi (almeno in queste zone) tutto scade in un soggettivismo assurdo che poco ha di cattolico e ancor meno di razionale, quando non proprio nella demenza senile!


Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 15 di marzo 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

Nessun commento:

Posta un commento