domenica 14 ottobre 2012

MILANO: LE FOLLIE DEL POSTCONCILIO FRA TAVOLONI CHE DOVREBBERO ESSERE ALTARI E DISTRUZIONE DI BALAUSTRE; CHITARRE E STRAVOLGIMENTI DELLA LITURGIA

di Alessandro Stucchi

Ogni volta che esco dalla metropolitana e mi trovo davanti il duomo di Milano, penso che la mia cattedrale sia la più bella del mondo. Chissà come doveva apparire agli occhi dei milanesi del XV o del XVI secolo, non ancora immersi nel caos odierno, che avvolge e cerca di nascondere ogni cosa sotto un perenne velo di smog! Lo fa capire chiaramente il Manzoni, nel capitolo de "I promessi sposi" in cui Renzo, mentre ancora sta attraversando la campagna, comprende che si sta avvicinando alla città quando scorge, come in un miraggio, le guglie del duomo di Milano in lontananza. Una volta all'interno, non posso fare a meno di pensare, tuttavia, a come l'adattamento postconciliare lo abbia ritoccato: non c'è più la balaustra tra il transetto e il presbiterio, e come altare è stato posizionato un tavolone di marmo (che pure non è brutto). Noi fedeli ambrosiani di oggi, perciò, non abbiamo la possibilità di godere delle stesse visioni a cui avevano diritto i nostri nonni, che oltre a ciò erano anche abituati a vedere la piccola grande figura di un santo, quella del cardinale Schuster (magari in cappamagna!) conferire ulteriore solennità al tutto. Nonostante questo, però, le liturgie del duomo di Milano sono ancora ben celebrate, e si può affermare tranquillamente che siano tra le migliori d'Italia. Il peggio arriva se si entra in molte altre chiese della stessa arcidiocesi, dove ormai, a parte gli spesso svogliati bambini del catechismo e i loro genitori, alla Messa "grande" della domenica sono presenti in larghissima maggioranza soltanto vecchietti e vecchiette. Ma quanto può considerarsi "grande" una Messa dove l'atmosfera è deturpata dallo strepitare di chitarre e tamburelli, dove tutti ricevono la santa Comunione nelle mani come fosse una caramella qualsiasi, e dove il celebrante in non pochi casi non ha riguardo per i paramenti e cambia a suo piacimento le parole della liturgia?! Tutti lo dicono, è ripetitivo ribadirlo anche ora, ma noi che ne siamo convinti non dobbiamo stancarci di ripetere che la crisi della fede passa anche e soprattutto attraverso la crisi della liturgia; essa è considerata da molti, troppi (sia fedeli che sacerdoti) come una cosa di nessuna importanza, la cui bellezza esteriore può essere benissimo trascurata, solo perché «Gesù diceva di essere poveri», per dirla col linguaggio comune. La colpa non è certo dei chitarristi o dei chierichetti femmine (che sono certamente volenterosi); la colpa è, come al solito, della distorta interpretazione dei documenti del Concilio Vaticano II, che è stato troppo “preso” dalla generazione sacerdotale sessantottina come l'autorizzazione a decidere tutto individualmente, anche sul sacro. Cerchi il clero, perciò, di guardare un po’ di più a quei ragazzi che frequentano la Messa tridentina; cerchi di guardare ai nuovi seminaristi, sue nuove leve, i quali sono tornati ad indossare con devozione l’abito talare e a mettere in primo piano l’ortodossia; cerchi, soprattutto, di leggere come si deve i testi del Concilio Vaticano II, i quali, per primi, affermano chiaramente che il latino e il canto gregoriano devono avere il primo posto nelle liturgie, e che le liturgie stesse devono esprimere il Sacro nel modo più esplicito possibile.


Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 16 di aprile 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)


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