domenica 14 ottobre 2012

LA MIA ESPERIENZA DI MESSA IN POLONIA. RIFLESSIONI SUL RITO E SUL LATINORUM

di Diego Vanni

Ad agosto sono stato, per lavoro, in Polonia. Un’esperienza molto formativa, sotto molteplici punti di vista. Sotto il profilo umano: si conoscono nuove persone, si fanno nuove amicizie (peraltro i polacchi sono persone molto calde ed affettuose). Sotto il profilo linguistico: si parla inglese in continuazione (e ciò è cosa molto positiva). E sotto altri profili. Ma la cosa che qui mi preme rilevare è un’altra. Di domenica sono stato alla Messa, con un amico polacco conosciuto in loco, a Jelcz- Lakowice, dove vivevo. Ho sperimentato così una Messa ben curata: cantata e accompagnata con l’organo. Non solo: al momento della Comunione non si è dato luogo a quell’oscena prassi della Comunione sulla mano. No! Tutti ricevevano la Santissima Eucarestia in bocca, come si deve, con il chierichetto col piattello sotto, come si confà alla dignità dell’Eucarestia. Senz’altro qualche cardinale, qualche vescovo (così come tanti preti) dovrebbe prendersi qualche giorno di ritiro spirituale in queste parrocchie della cattolicissima Polonia. La Messa di cui sto parlando non era quella di Pio V°, bensì quella di Paolo VI, ossia quella riformata dal Concilio Vaticano II. Ergo: era in vernacolo. Leggasi, nel caso di specie; in polacco. Bene; chi scrive, di liturgia, un pochino se ne intende, ragion per cui sono riuscito senza problemi a seguire il Rito, capendo di volta in volta se eravamo all’Atto penitenziale, piuttosto che al Credo o alla Liturgia Eucaristica. E, di conseguenza, recitavo le parti di mia spettanza in latino. Per quanto riguarda l’Omelia, mi è stata tradotta in inglese dal mio amico polacco, all’uscita dalla chiesa. Peraltro – mi riferisce Korneliusz – il prete ha detto, durante l’Omelia, appunto, che bisogna pregare, che la preghiera è fondamentale per la nostra vita spirituale. Altra cosa un po’ démodé, a onor del vero. Dunque; un bilancio decisamente positivo: Messa cantata per bene e non sguaiata; accompagnamento d’organo; Comunione in bocca e col piattello; Omelia seria e cattolica. Certo… una cosina va detta, per amor di verità. Chi parla del Concilio Vaticano II e, segnatamente, della sua riforma della liturgia, solitamente tira in ballo l’actuosa partecipatio, la partecipazione attiva dei fedeli al Rito. Altrettanto solitamente, però, queste persone sono avverse al latinorum (peraltro dimostrandosi di un’ignoranza colossale; si leggano cosa dice la Costituzione sulla Liturgia del Vaticano II a proposito del latino). Ebbene, se ci fosse stato il latinorum, anziché il polacco, la mia sarebbe stata davvero un’actuosa partecipatio, ma tant’è… vaglielo a spiegare! L’abolizione pressoché totale del latino dal Rito – in barba peraltro, giova ripeterlo, alle disposizioni dello stesso Concilio – è stata paradossalmente la cosa meno al passo coi tempi che si potesse fare. E le cose «meno al passo coi tempi» di solito non piacciono ai progressisti, per definizione, i quali, tuttavia, si trovano in questa paradossale situazione. Sì; l’abolizione pressoché totale del latino dal Rito è stata la cosa meno al passo coi tempi che si potesse fare. Perché? – vi chiederete. Perché in un mondo che si avviava a diventare moderno (e che adesso lo è a tutti gli effetti); in un mondo in cui in un’ora e tre quarti sono volato nella lontanissima Polonia; in un mondo in cui, volando, si è ora da una parte del mondo e, poco dopo, da tutt’altra parte del globo, conservare una lingua universale – cattolico significa universale, appunto – per la liturgia sarebbe stato ancor più fondamentale che in passato e avrebbe favorito davvero quell’auspicabile actuosa partecipatio di cui tanto si parla.

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 10 di ottobre 2011 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)



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