domenica 14 ottobre 2012

A PROPOSITO DEL… «NON GIUDICARE»

di Diego Vanni

«Non giudicate, per non essere giudicati» (Mt 7, 1). Quante volte lo si sente dire?! Ma cosa significa veramente questo passo evangelico? Qual è l’insegnamento pratico che occorre trarne? Far silenzio su tutto?! Non prendere mai posizione su nulla?! Non giudicare mai checchessia?! Starsene sempre in un asettico, indeterminato limbo?! Io non ritengo proprio che sia così! Anche perché sarebbe in netto contrasto (per non dire in antitesi) con un altro passo della Scrittura, laddove si dice: «poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap. 3, 16). Dunque, questo passo del Vangelo sul “non giudicare” non significa non giudicare l’operato di una persona; le idee e le posizioni di una persona; l’operato di una persona! No! Con buona pace dichi strumentalizza questo passo del Vangelo, esso non è un lasciapassare per qualsiasi idiozia; per qualsiasi comportamento o operato; per qualsiasi ideologia. Ciò che non si deve giudicare è la persona. E “non giudicare” la persona significa non emettere sentenze su di essa, cosa che spetta al Padreterno che, appunto, alla fine, giudicherà emettendo la sua sentenza di salvezza o dannazione eterna. Essa – la sentenza di salvezza o dannazione eterna – dunque non è certo di nostra competenza, ma… tutto qua, anche se non è poco. Comportamenti; operati (di azione o omissione); dottrine; ideologie; sì che possono, anzi debbono, essere giudicati. Tuttavia, come accennato, c’è chi non la pensa così o chi, in malafede, impugna questo passo a mo’ di salvaguardia del suo operato, delle sue tesi o quant’altro; una sorta di «non potete parlar male di me». Già! Perché laddove il giudizio dovesse essere, al contrario, lusinghiero, benigno, generoso… beh: allora il passo di Matteo già citato non vale più! Questa è una strumentalizzazione! Tanto patetica, quanto evidente. Eh sì! Perché se il “non giudicare” fosse un precetto che investe la totalità della realtà si arriverebbe a situazioni paradossali ed assurde. Così, per fare un esempio, un fedele che sentisse il suo parroco predicare dall’altare in favore dell’aborto, non potrebbe giudicare questa sua presa di posizione prendendone pubblicamente le distanze e “colpire” col suo giudizio negativo quella presa di posizione. Ma… la Dottrina della Fede?! Che fine fa?! Ecco allora che tale fedele non solo può, ma deve necessariamente, giudicare. “Giudicare” – repetita iuvant – non nel senso di dire: «Quel prete brucerà all’Inferno» (anche perché se egli si pentirà e confesserà il suo peccato…), ma nel senso di prendere una posizione; per sé stesso (al fine della «buona battaglia» di cui parla San Paolo che giova alla salvezza dell’anima) e per gli altri (al fine di evitare di confermarli nell’errore o, per meglio dire, di non disconfermarli, dall’errore). E qui non c’è prete, vescovo o cardinale che tenga. Sì! Perché ci possono essere questioni teologiche complesse sulle quali, effettivamente, è prudente e saggio che il semplice fedele che non ha preparazione teologica non proferisca parola; ma ci sono questioni dottrinali per le quali non occorre essere laureati in teologia per proferire parola. Come nell’esempio che facevo poc’anzi: se un prete (o anche un vescovo) si pronuncia in favore dell’aborto, è lampante che è in errore e questo lo sa anche il semplice fedele (di sana dottrina). E non se ne faccia una questione di autorità! Perché l’autorità che un prete o un vescovo ha, la ha vincolatamente alla propria fedeltà al deposito della fede; nel momento in cui, in maniera palese, il prete x o il vescovo y si discosta da tale depositum fidei quell’autorità la perde e, dunque, non può chiedere ubbidienza. Diversamente, Dio non sarebbe Dio, ma quel prete o quel vescovo (sedicente) disponente di un’autorità assoluta, svincolata da qualsiasi elemento e, nella fattispecie, dalla fedeltà dovuta al conferitore di quell’autorità, al suo divino insegnamento. Ed evidentemente non è così! Senza scomodare alcuni vescovi e preti (ossia le loro – e ahinoi non stiamo facendo esempi scolastici, ma stiamo parlando di cose che accadono nella realtà – posizioni deviate), si pensi ad un neonazista che compia stragi in nome di quell’ideologia. Cosa significa “non giudicare”, in questo caso?! Prendendo per buona l’interpretazione che io confuto in quest’articolo, “non giudicare” non significherebbe solamente non emettere una sentenza definitiva su quel soggetto, ma anche non giudicare il suo operato, non proferire parola su ciò che fa (omicidi) e sull’ideologia (il nazismo) in base alla quale lo fa. Vi sembrerebbe giusto?! Ve la sentireste di non giudicare quell’operato di omicidi e quell’ideologia orrenda che ne sta alla base?! Di non prendere posizione (magari se la cosa avvenisse nel vostro paese)?! Io credo proprio di no – e menomale! Beh; se questo vale per l’operato dello stragista nazista, vale anche, talvolta, per l’operato di preti e vescovi. Una cosa infatti è certa: la frase del Vangelo: «Non giudicate, per non essere giudicati» Quale che sia l’interpretazione, certo non si fa differenza quanto ai destinatari.

Da La voce cattolica (Mensile del Circolo Ragionar cattolico) edizione n° 18 di giugno 2012 - riproduzione riservata  (richiedere autorizzazione a segretario@ragionarcattolico.it)

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